Il medico che staccò la spina a Welby: "La storia ha già assolto Cappato"

L'anestesista Mario Riccio: io e lui, finiti sotto processo per un articolo di legge fuori dal tempo

Il dottor Mario Riccio

Il dottor Mario Riccio

Milano, 18 gennaio 2018 - «La storia ha già assolto Marco Cappato, ad essere sotto processo è un articolo di legge fuori dal tempo». L’anestesista Mario Riccio, che interruppe la ventilazione meccanica aiutando Piergiorgio Welby a morire, ritorna con la memoria al luglio 2007, quando il giudice per l’udienza preliminare lo prosciolse dall’accusa di «omicidio del consenziente». E attende la sentenza della Corte d’Assise nel processo a carico di Marco Cappato dopo che, nelle scorse udienze, è stato anche ascoltato in aula come testimone della difesa. Il pm ha chiesto, in subordine all’assoluzione, di valutare la sussistenza della legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, quello sull’aiuto al suicidio.

Dottor Riccio, cosa ne pensa? «Se suicidarsi non è un reato, come può essere un reato aiutare qualcuno a suicidarsi? Se i giudici decideranno di rinviare la questione alla Corte costituzionale si tratterebbe di un precedente importante, si aprirebbero scenari decisivi per arrivare finalmente a un cambiamento».

Si aspettava una presa di posizione così forte da parte della Procura? «Me l’aspettavo, anche perché i pm originariamente avevano chiesto l’archiviazione dell’indagine a carico di Cappato, ma il giudice per le indagini preliminari aveva imposto l’imputazione coatta. Vedo molte analogie tra il processo a carico di Cappato e quello che dovetti affrontare io nel 2007. Anche nel mio caso venne sollevato, da parte del gup, un problema di costituzionalità. Io ero accusato di omicidio, ma il giudice ha anche considerato il diritto di Welby a non vedersi imporre una terapia».

Welby morì il 20 dicembre 2006, undici anni fa. Che cosa è cambiato? «In questi anni è cambiato il mondo, e ora le discussioni nate dopo la vicenda Welby fanno sorridere. All’epoca la maggior parte dei medici era contro di me, dicevano che avevo ‘infangato la professione’. C’è stato un processo mediatico e diversi giuristi erano convinti che non si può interrompere una terapia iniziata. I casi di Welby, Eluana Englaro e Piludu hanno cambiato l’Italia. Nel caso di Piludu è stato il Tribunale di Cagliari a ordinare ai medici la sospensione della ventilazione. Una sentenza che dieci anni fa sarebbe stata inimmaginabile. La legge sul biotestamento, che è il minimo sindacale, è arrivata in ritardo. E Marco Cappato è sotto processo a Milano».

Che scenario si immagina nei prossimi dieci anni? «Spero che ogni cittadino otterrà finalmente il diritto di chiedere la morte che desidera. I Paesi più avanzati si sono già dotati di leggi sull’eutanasia e il suicidio assistito, e spero che noi riusciremo a fare altrettanto. Anche se in Europa, su queste questioni, siamo sempre il fanalino di coda. Abbiamo ancora questo articolo di legge sull’aiuto al suicidio che risale ancora all’epoca fascista, è fuori dal tempo».

Che ricordo ha degli ultimi momenti trascorsi con Welby? «Welby è stato fino all’ultimo determinato nel portare avanti le sue scelte. Ha capito che la sua tragedia si sarebbe trasformata in una spinta per un cambiamento nella società. Con il suo coraggio ha rafforzato anche la mia volontà di lottare per i diritti dei cittadini».

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