Chef Bottura: "Mai mangiato così bene in città"

Massimo Bottura e il Refettorio di Greco dove gli avanzi diventano piatti per i poveri

Chef Massimo Bottura (Newpress)

Chef Massimo Bottura (Newpress)

Milano, 11 dicembre 2017 - La sua Osteria Francescana è il miglior ristorante del mondo 2016 per la rivista britannica Restaurant, ma il suo piatto preferito resta il caffelatte con pane grattuggiato che si preparava da bambino. Massimo Bottura ha cucinato per Michelle e Barack Obama, che lo hanno pregato di esportare il Refettorio Ambrosiano anche negli Stati Uniti, ma sembra trovarsi più a suo agio coi volontari che impiattano e servono ai tavoli.«Sono loro i veri eroi, questo è anche il messaggio del calendario Lavazza 2018 che mi ha scelto come testimonial: ognuno deve agire, basta chiacchiere. Quel signore, Giuliano, è una delle prime persone che ho conosciuto qui, uno dei nostri ospiti fissi. Poi Alberto, un pensionato che subito si offrì volontario in panetteria, imparò dai 65 cuochi più influenti del mondo a fare il pane e alla fine faceva un pane al latte pazzesco». Da tre anni il Refettorio fondato da Bottura a Greco e gestito dalla Caritas ambrosiana sfama poveri e senzatetto con il cibo avanzato di supermercati e ristoranti.

Un progetto che ora chiedono in tutto il mondo.

«È già a Modena, Bologna, Londra, Rio de Janeiro. Presto apriremo a Parigi e a fine 2018 nel Bronx a New York, in un ospedale, a fianco del reparto di emergenze per ferite di arme da fuoco».

Perché è nato proprio a Milano?

«L’Expo ci ha posto il problema: 860 milioni di morti per fame nel mondo, 1,3 bilioni di tonnellate di cibo sprecate ogni anno, il 33% della produzione mondiale. Noi abbiamo risposto, concretamente. E qui c’erano le energie giuste: la Caritas e Scola mi dissero: “Torna tra una settimana e grazie per le tue energie e passione”. E una settimana dopo eravamo lì, pronti a cominciare».

Perché proprio a Greco?

«Volevo farlo sotto la Stazione Centrale, ricreando il Miracolo a Milano. Poi da Roma ci dissero di dare luce alle periferie. Davanti a questo teatro abbandonato, sporco e pieno di topi trovai don Giuliano, che invece di lamentarsi mi indicò un treno che passava dicendo: “Guarda, quello è il futuro”. Capii di essere nel posto giusto».

La sua prima volta a Milano?

«Mio padre mi portava allo stadio già a sei anni. Mi ha fatto amare l’Inter di Boninsegna, Mazzola, Jair. L’amore per la città è nato così, ma non è questione di fazioni, guardavo anche il Milan di Sacchi: con invidia, perché l’Inter non giocava altrettanto bene. È come “il tortellino è nato a Modena o Bologna”: è nato in tutte e due».

Il luogo della città che preferisce?

«Il Refettorio, ma non il mio, quello di Leonardo. Con Gucci ci abbiamo fatto una cena qualche mese fa: è stato un onore cucinare nel luogo che ha ispirato il Refettorio Ambrosiano, che sono sicuro regge il paragone, visti tutti gli artisti contemporanei che hanno contribuito, ma ne avremo la conferma solo fra 500 anni».

Quanto l’ha influenzata la cucina milanese?

«Con l’Emilia Romagna, lungo tutta la via Emilia, Milano è sulla linea geografica che più ha costruito la sensibilità del mio palato. I miei genitori erano appassionati di cibo e Milano era tappa fissa, con Gualtiero Marchesi, la Scaletta, Aimo e Nadia».

Mancano però ristoranti con tre stelle Michelin.

«Uno come Cracco in un posto nuovo, con tutta un’altra energia può facilmente riprendersi la seconda stella persa. Così come Andrea Berton o Matias Perdomo… Ma ci sono talmente tanti posti. Non si è mai mangiato così bene a Milano, non siate troppo critici».

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