Dall’arte all’ironia: eterna lezione nella visita al Monumentale / FOTO

Epitaffi folgoranti, motti, sculture struggenti: un museo di ricordi

Gianfranco Funari

Gianfranco Funari

Milano, 2 novembre 2016 - “L’è el dì di mort, alegher!” è il titolo della raccolta dei versi immortali di Delio Tessa. A proposito di defunti facciamo un giro sulle tombe degli uomini illustri o comunque celebri, quelle dei miti davanti alle quali sosta l’esercito degli umili, il popolo degli anonimi che non li ha conosciuti e che ora si sofferma davanti al lascito monumentale che li ricorda. Divisi dall’ideologia in vita, avvicinati dalla morte. Nel cimitero di Cremona si allineano le tombe di Ferruccio Ghinaglia, fondatore del Partito comunista a Pavia, ucciso nel 1921, di Attilio Boldori, icona del socialismo cremonese, ammazzato nel ‘20, del federale Montanari, adorna di fascio littorio, di Roberto Farinacci, ras del fascismo padano.

A Milano, nel cimitero di Lambrate, un saluto a Sadra Mondaini, ma fermiamoci anche accanto a una tomba con una fotografia in bianco e nero, il viso aperto, sorridente, di un giovane: è Lorenzo Bandini grande e sfortunato pilota, una vita troppo breve bruciata nel 1967 sul circuito di Montecarlo. Spiriti magni, gente famosa al Cimitero Monumentale. “Amici, non piangete, è soltanto sonno arretrato”, è l’epitaffio che Walter Chiari (stroncato da un infarto il 20 dicembre 1991 in un residence di Milano, davanti al televisore acceso) aveva confidato all’amico Dino Risi. Contrariamente a quanto pensano molti e molti hanno scritto, non è mai finito sulla tomba del grande Walter. Il concetto era stato anticipato secoli prima da Gian Giacomo Trivulzio, condottiero e uomo politico, vissuto dal 1440 al 1518, sepolto a Milano nella basilica di San Nazaro Maggiore con l’epigrafe. “Chi non riposa mai ora riposa”. Ancora al Monumentale. “Ho smesso di fumare” e “Manco da qui taccio” sono le epigrafi sulla tomba di Gianfranco Funari. Il popolare conduttore televisivo, scomparso nel luglio del 2008, chiese di essere seppellito con alcuni oggetti simbolici della sua vita e del suo lavoro: un pacchetto di sigarette (anche se fino all’ultimo aveva raccomandato ai giovani di non fumare), un telecomando (nonostante la sua affermazione che “la televisione è come la m..., bisogna farla, non guardarla), un set di fiches, a ricordo di un passato di croupier nei casinò.

Sopravvive al tempo la fama di grande guaritore che accompagnò in vita don Giuseppe Gervasini, “el pret de Ratanà”. La salma venne collocata in un primo tempo nel settore B del Monumentale, ma visto l’afflusso dei devoti la si dovette trasferire in uno spazio più ampio nel settore 20. Eloquente l’epitaffio: “Sacerdote don Giuseppe Gervasini 1867-1941 la fiumana dei tuoi beneficiati ti ricorda e ti ricorderà sempre”.

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