
L'aeroporto intercontinentale di Malpensa (immagine di repertorio)
Malpensa (Varese), 16 giugno 2025 – Il "ritardo nella reazione della vittima”, ossia "nella manifestazione del dissenso", è "irrilevante ai fini della configurazione della violenza sessuale". E su ciò "la giurisprudenza è netta", perché la "sorpresa" di fronte all'abuso "può essere tale da superare" la "contraria volontà", ponendo la vittima nella "impossibilità di difendersi".
Lo scrive nelle sue motivazioni la Corte di Cassazione che, dopo il ricorso del sostituto procuratore generale di Milano, Angelo Renna, ha disposto l'11 febbraio un processo d'appello bis per un ex sindacalista accusato di abusi su una hostess e che era stato assolto perché, dicevano i giudici, lei in "30 secondi" avrebbe avuto il tempo necessario per opporsi.
Il ricorso del procuratore generale
Il ricorso in Cassazione del procuratore generale di Milano, che risale allo scorso novembre, era stato giustificato con queste parole: "Anche venti secondi bastano perché sia violenza". Non si può infatti, come ha fatto la Corte d’Appello di Milano, "far dipendere la sussistenza della violenza sessuale dal tempo di reazione" della vittima, né stabilire che "un atto sessuale protrattosi per un periodo di tempo pari a 20 o al massimo 30 secondi esuli" dalla contestazione di abusi. Barbara D’Astolto, la ex hostess del no alla violenza detto dopo 20 secondi, aveva commentato così la sentenza: "Lui assolto, io vittima due volte. Trattata da mitomane e rimasta senza lavoro".
Perché era stato assolto
A settembre la Corte d’Appello di Milano aveva a sua volta reso note le motivazioni della sentenza d’assoluzione emessa a giugno del 2024, sollevando una nuova ondata di polemiche e perplessità simile a quella che c’era stata per l’analoga sentenza assolutoria di primo grado. I giudici d’appello, in cinque pagine, avevano chiarito come mancassero i "requisiti" della "violenza, minaccia o abuso di autorità" per configurare il reato di violenza sessuale e che "la qualifica e il ruolo rivestito dall'imputato non comportavano, in concreto, alcuna supremazia" nei confronti della donna. E che non poteva sussistere “l'ipotesi di atti sessuali repentini aventi rilevanza penale" , anche perché la stessa parte civile, spiega la Corte, "ha precisato come 'i toccamenti e i baci (...) siano poi stati protratti per un tempo di circa trenta secondi, in cui ella aveva continuato a sfogliare e a leggere i documenti". Per i giudici, inoltre, per la donna non c'era alcun "stato di 'timore' indotto dalla corporatura massiccia dell'imputato", avendo "avuto questa Corte agio di constatare che trattasi di individuo di stazza assolutamente normale".
La vicenda 7 anni fa
La vicenda che ha portato sul banco degli accusati il sindacalista della Cisl risale al marzo del 2018. Secondo quanto denunciato dalla vittima, l’incontro richiesto al rappresentante sindacale riguardava una vertenza che la donna intendeva aprire nei confronti della società per la quale lavorava. Il motivo? Dei diritti inerenti la sua condizione di madre lavoratrice, che le sarebbero stati negati in particolare dopo la seconda gravidanza. I due si incontrano alle 18.20. L’uomo inizia a palpeggiarla. Aggressione che si sarebbe interrotta nel momento in cui la donna inizia a mostrare chiari segni di insofferenza.

La sentenza di primo grado
In primo grado l’imputato era stato assolto “perché il fatto non sussiste”. A fine gennaio 2022, infatti, il tribunale di Busto Arsizio, aveva stabilito come in sede di istruttoria non fossero emersi elementi di prova sufficienti per arrivare a una condanna. Il presidente del collegio giudicante, tre anni fa, aveva sottolineato come non fosse stata raggiunta certezza su un punto fondamentale, ovvero se la porta dell’ufficio dov’era avvenuto quell’incontro il 12 marzo fosse stata chiusa a chiave dal sindacalista, come sostenuto in denuncia dalla hostess, o invece non lo fosse come dichiarato dall’imputato. Senza quella certezza non c’era prova se la denunciante potesse o meno lasciare liberamente la stanza dell’incontro in qualunque momento.

La rabbia della vittima
L’avvocato di Barbara D’Astolto aveva parlato, già in occasione della sentenza di primo grado, di sentenza che “ci riporta indietro di almeno trent’anni”, che “rinnega tutta la giurisprudenza di Cassazione che da oltre dieci anni afferma che un atto sessuale, compiuto in maniera repentina, subdola, improvvisa senza accertarsi del consenso della donna è reato di violenza sessuale e come tale va giudicato. Il reato di stupro è qualsiasi atto sessuale compiuto senza il consenso della donna”.