
Un’immagine delle telecamere che hanno ripreso la maxi-rissa
Gallarate (Varese) - Qualcuno ha taciuto, qualcun altro ha ammesso di essersi fatto "prendere la mano", senza rendersi conto della gravità di quanto accaduto. E’ così che si sono conclusi gli interrogatori di garanzia dei 15 minori sottoposti a misura cautelare con l’accusa di aver organizzato e partecipato a una maxi rissa, lo scorso gennaio a Gallarate. Tre si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, mentre gli altri hanno sostanzialmente confermato le loro azioni. Ora la Procura per i Minorenni si appresta a chiedere il rinvio a giudizio. "Sconvolge la solitudine educativa di questi giovani, i quali hanno difficoltà a mettere a fuoco la sproporzione di quanto hanno messo in atto", ha dichiarato ad Ansa il Procuratore Capo per i Minorenni Ciro Cascone "un vuoto rispetto alla gravità e gli orizzonti entro i quali collocare i propri comportamenti e le proprie azioni". Infine ha aggiunto "ci auguriamo si riesca a mettere in atto un reale percorso educativo di recupero per tutti loro". Era tutto partito come una vendetta per una rissa avvenuta a Malnate qualche giorno prima, a inizio anno, quello che poi è diventato un vero e proprio "raid" urbano con tanto di mazze da baseball e catene, tanto che un 14 enne è finito in ospedale con una ferita alla testa. Un desiderio di vendetta che ha armato le dita dei giovanissimi pronti a lanciare sfide attraverso i social, messaggi rimbalzati su WhatsApp per darsi appuntamento a Gallarate e "farla pagare a quelli là". Tra circa un centinaio di giovani presenti sarebbero una decina quelli identificati come i "promotori" del regolamento di conti tra due gruppi "rivali", uno di Malnate, l’altro di Cassano Magnago.
Due i maggiorenni tra i giovanissimi accusati dalla Procura dei Minori, sottoposti a misura cautelare dell’obbligo di rimanere in casa o di farvi rientro entro le 19, di cui uno ha negato di aver torto un capello ad alcuno nonostante il suo viso sia stato immortalato dalle telecamere mentre si lancia nel mucchio con un bastone tra le mani. Gli interrogatori dei più giovani, iniziati martedì e finiti giovedì, hanno evidenziato come tra i partecipanti ai tafferugli vi siano stati sia coloro che volevano disperatamente menare le mani e coloro che sono andati "per far qualcosa di diverso", perché "ci andava un mio amico e lo ho accompagnato", perché "il gruppo è il gruppo", e altre pseudo motivazioni che, secondo gli inquirenti, spalancano il baratro su un vuoto evidente nelle vite di questi ragazzini che, certamente provati da un anno difficile per tutti, non hanno trovato nessun altro stimolo intelligente e proficuo con cui impegnare mente e tempo. Certo il percorso di recupero è d’obbligo, c’è già chi tramite avvocato ha manifestato la volontà di chiedere l’affidamento in prova, affinché queste giovani vite possano prendere un’altra direzione.