Morti in corsia, le parti civili: "Cazzaniga agì impunito. L'ospedale deve pagare"

Al processo contro l’ex viceprimario di Saronno accusato di 15 omicidi le parti civili accusano i vertici ospedalieri: nessuno ha fatto nulla

Clelia Letto (a destra) e le figlie di Domenico Brasca

Clelia Letto (a destra) e le figlie di Domenico Brasca

Busto Arsizio, 3 dicembre 2019 - Fino a quando , prima di cambiare di postazione, gli avvocati di parte civile parlano standogli alle spalle, Leonardo Cazzaniga li ascolta a un metro di distanza, girato per metà, il mento appoggiato sul palmo della mano. Interessato, sereno, impassibile, anche quando, a proposito dell’autodefinizione di “angelo della morte”, si sente paragonare a Josef Mengele, il medico di Auschwitz. Apre il fuoco l’avvocato Carlo Basilico, legale di Clelia Leto, l’infermiera che, con la sua segnalazione all’ospedale e soprattutto con un esposto alla procura di Busto Arsizio, fece esplodere il caso. Si è costituita contro l’ex aiuto primario del pronto soccorso del presidio ospedaliero di Saronno per minacce gravi e continuate. Il legale parla di atteggiamenti “volgari, provocatori, sgradevoli” finiti poi in minacce da parte di Cazzaniga, che si sentiva onnipotente e godeva di una sorta di impunità.

«Quel pronto soccorso, anziché essere un luogo di cura e dolore, era un luogo del quale, sostanzialmente, si era perduto il controllo. Nessuno ha verificato le segnalazioni. Nessuno ha fatto niente. Clelia Leto ha subìto danni psicologici e fisici, ma il danno più grave è stato che questa vicenda le ha fatto perdere la fiducia nel prossimo». La richiesta risarcitoria è di 50mila euro con una provvisionale di 30mila. «Un danno incommensurabile – stigmatizza Maria Chiara Arca, che rappresenta i figli di Laura Taroni, all’epoca amante di Cazzaniga –. La vita umana non è quantificabile. Quella dei due minori è stata stravolta. Sono stati vittime di adulti irresponsabili. Oltre a Cazzaniga, ne abbiamo visti tanti in questo dibattimento». Ecco le richieste risarcitorie per ciascuno dei ragazzi: 600mila euro per la morte del padre Massimo Guerra (più 20mila per le lesioni subite da quest’ultimo prima del decesso), 300mila a testa per la morte della nonna materna Maria Rita Clerici, 90mila per quella del nonno paterno Luciano Guerra.

La morte di Angelo Lauria, giudicato al triage in codice verde, lucido e collaborante, morto il giorno stesso del ricovero, il 9 aprile 2013, fu l’innesco della segnalazione fatta dagli infermieri Clelia Leto e Radu Iliescu. «Secondo Cazzaniga – saetta l’avvocato Fabio Gualdi, parte civile per la moglie e le due figlie – il suo ‘protocollo’ era ispirato a principi di valore etico e morale. In realtà aveva la finalità esclusiva di provocare, con la somministrazione di farmaci in sovradosaggio, la rapida morte del paziente. C’è stato un macroscopico abbandono volontario delle linee guida, che insieme con l’assenza del consenso da parte del paziente e la nessuna informazione data ai familiari, prova l’’animus necandi’».

Di seguito gli interventi di legali dei familiari di altre persone decedute al pronto soccorso: Mario Volontè, Giacomo Borghi, Federico Mascazzini, Antonietta Balzarotti, Virginia Moneta, Luigia Lattuada. Il fronte delle parti civili è unitario e compatto nei confronti dell’ospedale di Saronno, presidio dell’Azienda socio-sanitaria territoriale della Valle Olona. «Non un solo atto ufficiale – hanno scritto nella loro Memoria di risarcimento – a favore dei congiunti delle persone decedute. Non un solo contatto, fosse anche solo ufficioso». L’Asst Valle Olona viene chiamata a rispondere per fatti lesivi posti in essere dai propri dipendenti». E non c’è dubbio che Cazzaniga lo fosse. Allo stesso modo erano dipendenti tutti i membri della commissione interna nominata per verificare l’operato del vice primario. «La struttura deve rispondere in solido, in questa sede, senza dilazionare ulteriormente i tempi con un rinvio al giudice civile».