
Laura Taroni
Varese, 13 febbraio 2021 - La camera di consiglio si protrae per più di quattro ore. Laura Taroni, 44 anni, non è in aula ad ascoltare la presidente Valeria De Risi mentre legge il dispositivo della sentenza che conferma la sua condanna a trent’anni di reclusione per l’omicidio del marito Massimo Guerra e quello della madre Maria Rita Clerici. Entrambi, secondo l’accusa, sarebbero stati provocati con un mix di farmaci. Per l’omicidio della madre è caduta l’aggravante della premeditazione. Nella sua requisitoria il sostituto procuratore generale Nunzia Ciaravolo aveva chiesto che fosse ribadita la sentenza pronunciata in primo grado al gup di Busto Arsizio, con un giudizio abbreviato che aveva evitato all’ex infermiera di Lomazzo il carcere a vita.
Due omicidi maturati nell’ambito di quello definito dal pg "delirio di coppia" della donna con Leonardo Cazzaniga, ex aiuto primario del pronto soccorso del presidio ospedaliero di Saronno, condannato all’ergastolo per gli omicidi di dieci pazienti in corsia causati somministrando farmaci in sovradosaggio e in rapida successione e quelli del marito e del suocero della sua compagna. Cazzaniga è stato però assolto con formula piena per la morte di Maria Rita Clerici. A fare da innesco l’odio antico nutrito dalla Taroni fin dalla infanzia nei confronti della madre, che osteggiava il suo legame con il medico. Non reggeva la teoria che volesse mettere tranquillo con i farmaci il marito per le pratiche sessuali a cui la costringeva. Ha fatto ricorso a "un uso disinvolto dei farmaci" e dimostrato una "lucida volontà di uccidere". La Corte stabilisce anche che la donna sia esclusa dall’asse ereditario della madre e che risarcisca lo Stato per le spese sostenute dal curatore per i suoi due figli, parti civili nel processo.
Per la Taroni si è trattato dell’appello bis dopo che la sentenza era stata annullata dalla Cassazione: nell’assemblaggio della motivazione erano “saltate” 13 delle 122 pagine e non era stato valutato lo stato psichico dell’imputata Laura Taroni fa arrivare la sua voce con un messaggio scritto a mano, indirizzato alla seconda Corte d’Assise d’appello di Milano. Consegnata a una volontaria del carcere del Bassone di Como, la missiva è stata trasmessa via mail al difensore Monica Alberti, che la legge in aula.
«In primo luogo vorrei spiegare alla Eccellentissima Corte d’Assise d’appello di Milano le motivazioni che mi hanno portato a non presenziare alle udienze. La donna descritta nei fatti avvenuti non esiste più. Ripercorrere la sofferenza che solo io conosco riaprirebbe una ferita che con tanta fatica sto facendo guarire. Dopo avere varcato le porte del carcere ho vissuto i primi mesi nell’apatia completa, ma grazie all’aiuto di pochi affetti e alla speranza di poter rivedere i bambini ho ricominciato a vivere in carcere. Non da sola. Ho avuto aiuti per così dire materiali: il mio avvocato, il dottor Poloni e lo psichiatra psicologo del carcere, la polizia penitenziaria che ora dopo ora stavano con me, il cappellano e le insostituibili volontarie. Oggi nessuno crede più di me nell’articolo 27 della Costituzione perché in questo luogo mi sono scoperta di nuovo quella donna che avevo perduto e quella mamma che voglio essere. Il mio pensiero è sempre rivolto a F. e R (i due figli - ndr ). Qualunque sforzo è infatti nella prospettiva di poterli incontrare presto con la speranza di costruire qualcosa. Grazie per l’attenzione. Distinti saluti. Laura Taroni". Il richiamo all’articolo della Costituzione che fissa i principi della umanità e della finalità rieducativa della pena. Gli avvocati. Lo psichiatra Nicola Poloni, consulente della difesa. I "pochi affetti" sono la cugina Nene e la babysitter dei figli . Non un accenno a Leonardo Cazzaniga.