Fagnano Olona, 13 aprile 2024 – A dieci anni dall’omicidio di cui è stata riconosciuta colpevole, dopo un iter giudiziario piuttosto travagliato, si aprono le porte per Melina Aita, condannata in via definitiva per l’assassinio del marito Antonino Faraci.
L’uomo, 72 anni all’epoca della morte, fu ucciso il 12 aprile del 2014. Aita, che oggi ha 74 anni, dovrà scontare l’ergastolo: è stata portata in carcere a Como dai carabinieri della stazione di Fagnano Olona, in esecuzione di un’ordinanza di carcerazione emessa dall’ufficio esecuzioni penali della procura generale di Milano.
Il delitto
Il corpo di Faraci fu trovato nella abitazione di Somma Lombardo, esanime a terra con ferite su tutto il corpo, compresa quella alla testa che si rivelò fatale. Sulle prime si sondò la pista dalla rapina finita male, anche perché la casa fu trovata a soqquadro, con cassetti svuotati e armadi aperti (una maldestra simulazione, si scoprì in seguito). A brevissimo, però, le indagini dei carabinieri del nucleo investigativo di Varese virarono sull’ipotesi del delitto maturato in ambito familiare.
I militari dell’Arma, coordinati dalla pm Rosaria Stagnaro, allora in servizio alla procura di Busto, scoprirono ben presto che la moglie Melina Aita, che aveva raccontato loro di non essere in casa al momento dell’omicidio, era in realtà la mandante dell’esecuzione, per la quale aveva arruolato due tunisini, fuggiti dall’Italia subito dopo che l’inchiesta aveva preso la piega rivelatasi, infine, corretta in sede processuale.
A inchiodare Aita, che si è sempre professata innocente, i numerosi contatti telefonici intercorsi fra la donna e uno degli esecutori materiali dell’omicidio e la scoperta, in casa, di un atto di separazione fra i coniugi, motivato – pare – da una relazione fra la donna e il suo ex datore di lavoro. Faraci, si scoprì, venne ucciso mentre si trovava steso sul divano. Vennero utilizzati una pesante statuetta a forma di elefante e almeno un coltello.
La storia processuale
Aita fu arrestata una settimana dopo l’omicidio. Inizò una lunga vicenda processuale, con la “mantide” tetragona nel ribadire la sua innocenza e i due esecutori materiali “convitati di pietra”, essendo riuscita loro la fuga, probabilmente in Tunisia, loro Paese di origine.
Melina e i due coimputati contumaci furono condannati all’ergastolo in primo grado. La sentenza fu ribaltata in Appello, con assoluzione per la donna e i due tunisini. Un secondo processo d’Appello, celebrato dopo che la procura generale di Milano aveva impugnato l’assoluzione, ottenendo ragione in Cassazione, aveva portato a ricondannare all’ergastolo Aita e uno dei tunisini (per l’altro l’assoluzione divenne invece definitiva).
Questa doppia condanna è stata confermata nel marzo di quest’anno, dopo che gli ermellini hanno rigettato il ricorso degli avvocati di Aita. Da qui l’ordine di carcerazione e il ritorno in cella della donna. La quale, in ragione dell’età avanzata, potrebbe chiedere presto l’ammissione a una misura di detenzione alternativa.