
L'arresto di Domenico Cutrì
Busto Arsizio, 3 febbraio 2015 - Sono state comminate pene dai 3 anni e 6 mesi ai 4 anni e 6 mesi per i componenti del commando guidato da Antonino Cutrì che il 3 febbraio dello scorso anno mise in atto l’assalto a un furgone della polizia penitenziaria davanti al tribunale di Gallarate con lo scopo di far evadere Domenico Cutrì, ergastolano, che doveva comparire al palazzo di giustizia in un’udienza per una presunta truffa. Ieri al Tribunale di Busto Arsizio sette persone sono comparse davanti al giudice per le udienze preliminari Giuseppe Limongelli per patteggiare le pene concordate nei giorni scorsi con la sostituto procuratore Raffaella Zappatini. La pena più alta, 4 anni e 6 mesi, è toccata per Christian Lianza: a lui è contestato l’omicidio colposo di Antonino Cutrì, ucciso da "fuoco amico". Hanno patteggiato 4 anni e 2 mesi, invece, Aristotele Buhne, Luca Greco, Daniele Cutrì e Davide Cortesi. Dovrà scontare 3 anni e 6 mesi, invece, Danilo Grasso. Pena di un anno - sospesa - per Franco Cafà. Non hanno patteggiato Adamo Buhne, Andril Horoblievs Kyl e Carlotta Di Lauro, all’epoca fidanzata di Antonino Cutrì. I tre sono stati rinviati a giudizio e affronteranno il dibattimento, con la prima udienza fissata per il prossimo 21 aprile.
«Si è chiuso il secondo capitolo della vicenda - ha detto l’avvocato Roberto Grittini, uno dei legali che difende i componenti del commando - Si va al terzo capitolo, il 21 aprile, e potrebbero esserci sorprese». Dall’aula, accompagnata dall’avvocato Carlo Taormina, suo difensore, è uscita Carlotta Di Lauro. «È estranea ai fatti. Non sapeva nulla dell’organizzazione», ha ribadito il legale. «Per me è una situazione di grande dolore, mi dovevo sposare - dice la giovane -. Credo in Dio e il Signore da lassù mi guarderà». E si è allontanata con gli occhi lucidi.
Per questa vicenda Domenico Cutrì è già comparso al Tribunale di Busto Arsizio l’11 dicembre scorso davanti alla giudice per le udienze preliminari Patrizia Nobile, chiudendo la sua posizione con il patteggiamento di una pena di 2 anni e la confisca di 2 mila euro. A lui erano contestati il porto d’arma clandestina e la resistenza a pubblico ufficiale, ma non l’organizzazione dell’evasione. L’accusa più pesante, ovvero quella di aver partecipato all’organizzazione dell’assalto per la sua fuga, era caduta. La mente del piano per liberarlo - secondo quanto è stato ricostruito - era stato il fratello Antonino, che nel blitz aveva perso la vita.