GABRIELE MORONI
Cronaca

Il Covid? Stessa paura dell'Afghanistan

Il tenente Di Cicco: nemico ancora più subdolo perché sconosciuto e invisibile. Giorno dopo giorno si impara a difendersi

Il tenente Luca Di Cicco

Solbiate Olona (Varese), 27 dicembre 2020 - «Eravamo vicino a quelle bare che dovevamo trasportare. Partivano senza un saluto. Ci sentivamo un po’ come degli intrusi perché altri avrebbero dovuto essere lì, al nostro posto". Abruzzese di Sulmona, trentasette anni, da diciassette nell’esercito, per dieci nelle truppe alpine, tre missioni in Afghanistan. Mentre parla, dietro il tenente Luca Di Cicco scorre l’affluenza di ogni giorno per i tamponi molecolari al Drive Through, allestito alla caserma "Ugo Mara" di Solbiate Olona, sede del Corpo d’Armata di reazione Rapida della Nato in Italia. Di Cicco comanda la Compagnia Trasporti presso il Reggimento di supporto tattico e logistico al Comando Nato. "Compagnia trasporti": due parole che assumono un significato drammaticamente doloroso non appena la pandemia da Covid si manifesta in tutta la sua virulenza.

Tenente Di Cicco, quando vi siete resi conto in pieno di essere in prima linea contro un’emergenza?

"In marzo, con il lockdown generale, siano stati impegnati nell’operazione ‘Fidelium’ per il trasporto delle bare da Bergamo ai forni crematori. Da un giorno all’altro si partiva da Bergamo per Modena, Ferrara, fino a Firenze, il posto più lontano dove siamo stati. La Compagnia Trasporti di Solbiate è stata la più impiegata".

Con quale stato d’animo?

"Vicino a quelle bare non poteva esserci nessuno. Non potevano essere piante da nessuno. Noi c’eravamo e avremmo tanto voluto non esserci, avremmo voluto cedere il nostro posto a un familiare, a un parente. ‘Chi sono io?, ci chiedevamo, per state accanto ai questi morti?’ Manifestavamo la nostra solidarietà con il massimo rispetto: silenzio assoluto, nessun racconto, nessuna fotografia di quei momenti. Non eravamo degli sprovveduti. Avevamo delle missioni alle spalle. L’impatto emotivo è stato lo stesso molto forte. Ha lasciato in segno".

Che immagini vi arrivavano dall’esterno?

"Bergamo era una città addolorata, ferita, segnata. C’erano persone affacciate alle finestre che seguivano il passaggio dei nostri camion. Forse qualcuno pensava che sopra poteva esserci un familiare, un amico, una persona cara".

Poi è venuta l’operazione «Mercurio».

"La caserma ‘Ugo Mara’ è stata scelta come hub per lo stoccaggio di tutti i materiali in arrivo a Malpensa, mascherine, guanti, camici, respiratori. In accordo con la Protezione civile, andavamo a prelevarli. Li trasportavamo in tutto il Nord Italia, Lombardia, Piemonte, Veneto, Trentino e li consegnavamo alla Protezione civile, agli ospedali, alle strutture sanitarie. Si è avviata una seconda fase quando qualche piccolo imprenditore, soprattutto del tessile, ha riconvertito la produzione per realizzare dispositivi di protezione. Li caricavamo e li portavamo in aeroporto. Di lì partivano i container per il Sud. E’ stata una grande catena di solidarietà, una grande prova di generosità, di unione".

L’Afghanistan. L’emergenza Covid.

"Due scenari completamente diversi, ma non per questo meno pericolosi. Oggi siamo in patria, siamo in pace. In Afghanistan la minaccia era dietro l’angolo. Qui il nemico è invisibile, se vogliamo ancora più subdolo. Giorno per giorno impariamo a difenderci. Una cosa hanno in comune le due situazioni: la paura. Un soldato deve avere paura per non affrontare il pericolo con leggerezza. La paura si combatte con l’informazione, la preparazione più minuziosa. In questa emergenza applichiamo tutte le precauzioni, anche oltre le norme. Consapevolezza e preparazione. Per avere quella serenità che si deve portare anche a casa".

Cosa le lascerà tutto questo?

"Era la prima volta che si vedeva una cosa del genere. Io e gli altri ci siano arrivati senza preavviso e abbiamo dato il massimo. Come forze armate abbiamo dimostrato di esserci sempre, al servizio della comunità. Mi rimarrà un rispetto ancora maggiore del dolore. Un senso più forte dell’importanza della salute e quindi della vita".