
Arnautovic e altri ex calciatori dell'Inter tornano per sostenere la squadra nella semifinale di Champions League.
Erano lì a bordo campo, che si godevano la scena. Una volta calciatori, oggi opinionisti, commentatori, semplici vecchie glorie venute a spingere le nuove leve. Quindici anni dopo, una nuova Inter-Barcellona in semifinale di Champions League ha chiamato a raccolta tanti protagonisti dell’impresa antesignana di quella più recente. Il 3-1 del 2010, stesso turno ma all’andata, in cui Julio Cesar, Sneijder, Cordoba, Zanetti, Cambiasso, Pandev, erano tra i protagonisti. Sono tornati sul posto, martedì scorso, a tifare per chi ha ereditato i colori nerazzurri.
Di quel gruppo faceva parte anche Marko Arnautovic, 36 anni compiuti da poco, una carriera con più passato che futuro. L’Inter lo aveva preso l’estate prima che si materializzasse la storica tripletta Coppa Italia-Scudetto-Champions League, mai eguagliata in Italia. Se cercate dei fattori di quel trionfo, scandagliate altrove. L’austriaco, con estrema sincerità, ha sempre chiarito di non sentirsi un tassello di quel mosaico. Aveva 21 anni, ma non è tanto una questione di età. Lamine Yamal ne ha quattro di meno ed è lanciato in un’orbita da Pallone d’Oro. Arnautovic è semplicemente diventato uomo più tardi. Era il burlone del gruppo, quello che restituì a Eto’o in condizioni da buttare una macchina prestatagli dal camerunese. Arrivava più in ritardo che puntuale alle riunioni. Era, rispetto ad oggi, un uomo spogliatoio perché strappava una risata. Nemmeno il sergente Mourinho riusciva a prendersela. Lo lasciava sempre fuori, giustamente: tre presenze in campionato, 56’ in tutto. A festeggiare a Madrid c’era anche lui, nelle foto di rito. Più avanti negli anni si è reso conto di quanto la carriera avrebbe potuto prendere una piega diversa, se si fosse giocato le carte in altro modo. Al contrario, fu ceduto dai nerazzurri proprio alla fine di quella stagione.
Per questo, due estati fa, con la saggezza di un’età differente, Arnautovic ha fatto di tutto per far sì che il Bologna lo lasciasse tornare a Milano. Quel che è perso è perso, dodici anni dopo non poteva certo pensare di recuperare il tempo che scorre. Non con quei muscoli grandi ma più fragili, spesso alla base di fastidiosi infortuni, uno dietro l’altro. Nel secondo anno della seconda avventura interista, l’austriaco ha aggiustato le medie realizzative, pur dovendo ancora fare i conti con gli acciacchi. Ha segnato reti importanti in campionato, in Champions League ha visto il campo nel girone e molto meno durante la fase ad eliminazione diretta (28’ in totale col Feyenoord, mai schierato con Bayern e Barcellona). Il suo peso in spogliatoio è cambiato, quindici anni dopo. Ride quando serve, si dispera se sbaglia un gol, viene sommerso dai compagni allorché segna. Un riconoscimento al lavoro quotidiano, durante gli allenamenti e nella vita di tutti i giorni. Arnautovic è diventato il fratellone da cui ci si va a confidare. Nel vedere tante facce conosciute, martedì sera, è tornato indietro agli albori di carriera, in cui i fratelloni erano gli altri, quelli che tentavano invano di portarlo sulla retta via. Li ha abbracciati con la gioia tipica delle rimpatriate. Poi si è messo l’emetto e ha cominciato la sua partita, in panchina, a sostegno dei compagni di squadra in campo. Non gli è toccata la sorte di mettersi all’opera in quello spettacolo che è stato Inter-Barcellona, ma a fine gara la sua felicità era palpabile. Sarà ancora in distinta in una finale di Champions League, il 31 maggio a Monaco di Baviera. Un altro Arnautovic. Un’altra storia. Prima del probabile addio ai nerazzurri.
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