Francesco Messina, il guru del maestro: "Caro Battiato, voglio rivederti danzare"

“L’arca di Noè“ torna quarant’anni dopo. Parla l'artista che lavorò con Franco all’album: "Aveva previsto la crisi dell’Occidente"

Franco Battiato: il grande cantautore è morto il 18 maggio 2021 a 76 anni

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Chissà cosa direbbe della guerra in Ucraina Franco Battiato se fosse ancora alle prese col suo “transito terrestre“; chissà cosa scriverebbe delle attuali crisi dell’Occidente lui che, quarant’anni fa, ne aveva già fatto lo spunto per un album, L’arca di Noè, che oggi suona straordinariamente profetico. "Quell’arca non doveva salvare uomini e animali da una distruzione fisica come nel racconto biblico, ma il nucleo del genere umano. A cominciare dalle masse costrette a migrare dai cambiamenti climatici e dai conflitti", spiega Francesco Messina, grafico, fotografo, docente universitario e per quattro decenni a fianco di Battiato come amico e come collaboratore.

«L’ho conosciuto nel 1974 – racconta – riuscii ad avvicinarlo dopo un suo concerto, uscimmo a cena e iniziammo a parlare. Il giorno dopo mi telefonò e da allora il nostro confronto non si è mai interrotto ed è proseguito, anzi, nel lavoro, nei viaggi e nei mille incroci che Franco sapeva generare". Sua è anche la nuova copertina con cui l’album L’arca di Noè, a quarant’anni dalla sua prima pubblicazione, torna arricchito da una diversa masterizzazione, da tre inediti (di cui due registrati dal vivo) e una serie di foto per la prima volta tirate fuori dai cassetti. "Qualcuno – osserva Messina – potrebbe scoprire più che riscoprire quest’album ascoltandolo oggi per quanto risulta in sintonia con quanto stiamo vivendo adesso".

L’album, per quanto caratterizzato da una hit come Voglio vederti danzare, è un ritratto apocalittico della realtà.

"Apocalittico e in anticipo con i tempi di oggi. Franco la vedeva lunga. Aveva capacità intuitive eccezionali. L’aveva già dimostrato prima, con brani come Strade dell’Est o Magic Shop. Testi che mettevano in evidenza i mutamenti e i movimenti dell’umanità. Non solo dal punto di vista delle migrazioni ma di cambiamenti anche geopolitici che poi si sono verificati".

Da dove nascevano queste intuizioni?

" L’arca di Noè è il frutto di una visione personale, quasi preveggente. In quei brani c’è Franco al 100 per cento. I discografici di allora faticavano a riconoscerlo. Gli avevano chiesto di realizzare un album per bissare lo straordinario successo de La voce del padrone. Franco all’inizio era recalcitrante. Ha accettato a patto che il nuovo album riflettesse esattamente quanto sentiva lui in quel momento. Per questo L’arca di Noè, che venderà 500.000 copie anziché un milione, rappresenta una sfida vinta: essere riuscito a pubblicare canzoni che testimoniassero ciò che sentiva e voleva comunicare. Non quello che gli altri si aspettavano da lui".

Uno dei pezzi più popolari era Radio Varsavia, una finestra aperta sul mondo al di là della cortina di ferro.

"Questo disco, e questo brano in particolare, hanno un metro più continentale. I riferimenti provengono dal racconto di una società occidentale che intraprende una strada pericolosa. Così almeno la percepiva lui. Non era una visione politica, a Franco interessava il sociale. Puntava al benessere delle persone. Lo faceva però con l’intento di un uomo di profonda fede".

Vicino al sufismo e alle religioni orientali.

"Al sufismo soprattutto e poi, negli ultimi anni, al buddismo. Gli interessava il tutto ma non era un sincretista. Cercava le coincidenze, in profondità; praticava la meditazione. Era un uomo di esperienza, non un teorico".

Che però aveva studiato il libro tibetano dei morti, il Corano e il pensiero di Gurdjieff.

"Studio e pratica insieme. Applicazione di quegli insegnamenti alla propria vita. È il conosci te stesso della tradizione socratica che arriva fino al sufismo. È un lavorare perché le parti peggiori di te non prevalgano sulle migliori, pur coesistendo con queste".

Dopo la guerra del Golfo, in segno di pace, andò a cantare in Iraq, davanti a Saddam Hussein. Che cosa direbbe della guerra in corso?

"Percepiva che i popoli non sono ancora pronti a vivere in pace. La Russia, come la Germania, ha prodotto grandi scrittori, poeti, pensatori che nulla hanno a che vedere con gli orrori della guerra. Franco sentiva una forte attrazione per l’Est europeo. Una sorta di Medio Occidente, per usare il titolo di un mio disco nato dallo stesso sentire. Se Franco è arrivato ai sufi e ai mistici è per il fascino che avvertiva di un Est dall’anima occidentale. Il musicologo Franco Scarnecchia, nel libro L’alba dentro l’imbrunire (da me curato con Stefano Senardi) lo definisce un arabo mitteleuropeo. Franco era un uomo del Mediterraneo, forse anche arabo musicalmente, ma di cultura europea. Amava Thomas Mann e Marcel Proust. Esiste in lui un’idea di un’Europa molto allargata. Non vedeva i confini geografici ma l’interazione fra le persone. Da Prospettiva Nevskij a Radio Varsavia parliamo di un unico Paese".

Ha detto: a Battiato non interessava la politica ma il progresso sociale.

"Non era schierato politicamente. La vita sociale non si divide in destra e sinistra, ma in chi ama il prossimo e chi no. La politica serve se è servizio del popolo. In New Frontiers canta: l’evoluzione sociale non serve al popolo se non è seguita da un’evoluzione di pensiero".