"La mostra è andata molto bene: ha corrisposto a ciò che ci eravamo immaginati e il pubblico si è mostrato interessato a riscoprire i propri luoghi". Gabriele Cecconi, fotografo documentarista originario di Perugia, commenta così la sua mostra “Elegia Lodigiana”, parte del Festival della Fotografia etica, che quest’anno celebra a Lodi la sua quattordicesima edizione, aperta al pubblico fino al 29 ottobre.
"Il lavoro – spiega— mi è stato commissionato dal festival. È un progetto di documentazione del Lodigiano alla luce della crisi idrica del 2022. Gli organizzazioni volevano che a raccontarlo fosse qualcuno non del posto, capace di promuovere uno sguardo esterno".
Dal suo primo reportage in Ghana, nel 2016, Cecconi predilige progetti a lungo termine condotti sul campo. Per l’esposizione di Lodi, racconta, si è impegnato in un approfondito lavoro di studio preliminare e ha lavorato sul territorio per tre mesi complessivi.
Com’è nato il titolo “Elegia Lodigiana”?
"Ho fatto un lavoro di studio e di ricerca sul campo, indagando l’identità culturale e l’immaginario poetico del luogo. Il territorio – il fiume Po, in particolare – faceva già parte della mitologia greca come confine settentrionale della civiltà mediterranea. Così ho continuato a scavare, approfondendo le forme poetiche della cultura greca fino a imbattermi nell’elegia. Da qui il titolo Elegia Lodigiana: mi sembrava adatto a restituire il senso del lavoro fatto".
Cosa l’ha colpita di più del Lodigiano?
"Sicuramente la sua storia. Prima gli etruschi, già attivi nella costruzione di canali artificiali, poi i romani, in seguito i monaci cistercensi: gli esseri umani lavorano a questa terra da migliaia di anni".
Quanto è importante mantenere un equilibrio tra realtà e rappresentazione fotografica?
"La realtà è sempre la mia base di partenza. Nel corso del tempo, tuttavia, ho cercato di portare all’interno dei miei lavori anche la mia visione, interiore e personale. Bisogna cercare di trovare nella realtà, senza mai manipolarla, quello che si vuole raccontare".
Quanto è importante la fase di ricerca nel suo metodo di lavoro?
"Ritengo che sia alla base di ogni buona pratica fotografica, ed è centrale in tutti i miei progetti. Per raccontare un luogo ho bisogno di conoscerlo a fondo, anche da un punto di vista geografico".
Cosa rappresenta per lei la fotografia?
"È un modo per indagare la realtà e portarla all’attenzione del pubblico. Lo scopo è diffondere storie e racconti, senza tenere il materiale prodotto solo per se stessi, negli hard disk. Aggiungo che avere l’opportunità di viaggiare grazie a questo mestiere, vedendo posti e persone diverse, è un privilegio e una fortuna".
Quali sono i suoi prossimi impegni professionali?
"Al momento, non ho lavori commissionati. Nei prossimi mesi andrò in Messico, ma il piano è quello di tornare e continuare a lavorare anche in Italia".