Qui nacque (e sparì) il primo liceo sanitario d’Italia

Due anni di cultura di base, poi la scelta del percorso professionalizzante. E dialogo fra allievi e insegnanti. "Con accesso all’università"

22 marzo 1972: la foto su “Il Giorno“ dei primi studenti del liceo sanitario di Lecco, all

22 marzo 1972: la foto su “Il Giorno“ dei primi studenti del liceo sanitario di Lecco, all

di Gianni Locatelli

Dall’ottobre scorso funziona a Lecco il primo "liceo sanitario" d’Italia. Il nome ufficiale non è ancora questo ( si chiama infatti Scuola superiore per le professioni paramediche) ma la sostanza è quella di un vero e proprio corso liceale, con alla fine un diploma di maturità sanitaria destinato a modificare radicalmente la figura e il ruolo del personale infermieristico. Dentro e fuori l’ospedale. In questo istituto lecchese dove la scuola è naturalmente a tempo pieno i futuri infermieri non si limitano infatti ad apprendere delle nozioni sanitarie o a impratichirsi in qualche tecnica particolare. Cominciano invece da una preparazione culturale di base, fatta di materie umanistiche e scientifiche, di lingue straniere, di psicologia, di tecniche dell’assistenza sociale. Solo dopo avere consolidato questa base in un biennio propedeutico comune (corrispondente ai normali corsi per infermieri professionali) è loro possibile dedicarsi, col terzo anno di corso, alle varie specializzazioni: caposala, rianimazione, riabilitazione, servizi sanitari esterni, radiologia e tutto il resto.

Il dottor Aldo Rossi, presidente dell’ospedale di Lecco, è un po’ il padre e il trascinatore dell’iniziativa: "Questa scuola – dice – è concepita nella prospettiva che vi si possa accedere dopo il primo biennio della scuola media superiore, che diventi il triennio superiore di un vero e proprio liceo sanitario, che dia pertanto accesso anche all’Università. Cominciando dalle facoltà medico-biologiche". I propositi sono davvero innovatori. Soprattutto considerando una cosa: che quella degli infermieri è l’unica categoria della cui formazione professionale non si occupi il ministero della Pubblica Istruzione. Il risultato è, grosso modo, una grande confusione. Sia nella durata dei corsi (ce ne sono di tre anni, di due e anche di qualche mese soltanto) sia nel valore dei titoli. Il risultato peggiore è, comunque, quello di ridurre gli infermieri a personale di "serie B", legato mani e piedi al singolo ospedale o al singolo primario che l’hanno "formato" a loro immagine e schiavitù. Anche a Lecco l’iniziativa viene dall’ospedale: sopravvive dunque questa forma di "asservimento"? ll dottor Rossi ci tiene subito a rispondere con un “no“ secco: "Proprio per evitare ogni sospetto del genere abbiamo voluto collocare la scuola anche fisicamente fuori dell’ospedale, prendendo in affitto la sede del pensionato per studenti “Amigoni”. Dove si tengono le lezioni teoriche e dove sono disponibili anche una cinquantina di camerette per coloro che desiderano il collegiamento. Per le lezioni pratiche viene naturalmente utilizzato l’ospedale. Allievi e allieve non svolgono però, con la scusa di fare pratica, un servizio di apprendistato; gli organici ospedalieri sono completi e gli studenti sono in più rispetto ad essi. In altre parole, è evitato quell’odioso “sfruttamento“ che troppo spesso trasforma le scuole per infermieri professionali in serbatoi di manodopera a buon mercato per gli ospedali". C’è però di più: la scuola di Lecco è totalmente gratuita e la frequentano anche dipendenti dell’ospedale, i quali - per tutta la durata dei corsi - ottengono un’aspettativa e 40 mila lire al mese come assegno di studio.

"Il nostro obiettivo – aggiunge il presidente – è di concedere in futuro un presalario anche a tutti gli altri allievi. Per questo primo anno gli oneri di gestione sono già di 30 milioni ". Da chi vengono coperti? Dall’ospedale, con una maggiorazione (uno per cento circa) sulla retta di degenza. È questa una altra importante novità e c’è voluto l’arrivo dell’organo regionale di controllo per ottenere il nullaosta a una delibera del genere. L’esperienza di questi primi mesi di attività della scuola sta dando del resto pienamente ragione ai suoi sostenitori. Non tanto per il numero degli iscritti (circa 180, tra cui numerose le maestre elementari e d’asilo), quanto per il metodo nuovo con cui studiano. Un metodo fatto di continuo dialogo tra allievi e insegnanti: di scelta comune dei programmi e dei temi di studio: di superamento del nozionismo in modo da rinnovare anche gli esami finali. Che non saranno più di tipo tradizionale ma consisteranno in una valutazione complessiva sulla personalità e sull’idoneità di ciascuno a esercitare il tipo di attività professionale prescelto. Se, com’è in progetto, nella sede di questo Istituto lecchese per le professioni paramediche verrà riservato uno spazio (biblioteca, seminari, collegio) anche agli studenti in medicina, sarà stato compiuto un notevole passo avanti verso il superamento di quelle assurde barriere che ancora fanno degli infermieri una categoria subalterna e "inferiore" nel nostro mondo della sanità.