Varese, meglio l’ordine modesto che il caos

Il territorio nel racconto del maestro Giorgio Bocca nel maggio del 1964. I (tanti) no e i sì di un territorio meraviglioso e difficile

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Non sono prolifici, non sono bigotti, non sono loquaci. Il loro primo deputato rimase 5 anni alla Camera senza aprire bocca. Non hanno sale da ballo e neppure librerie o gallerie d’arte. Non sono edonisti, non sono estremisti. Chiesti di una opinione politica possono ricordarti: "Ma non lo sai che il voto è segreto?". Hanno detto no alla mostra di Guttuso, loro ospite, ignorano Piovene, altro ospite. Invece il Giovanni Pirelli, pure ospite, lo hanno "trombato" alle elezioni. Hanno detto no anche ai due circoli culturali offertigli dall’industriale Mazzuchelli, pare che gli piaccia solo lavorare. Disse quel funzionario toscano al momento del congedo: "Varese è una città straordinaria, l’unica in Italia in cui gli operai aspettino la domenica per lavorare in proprio". Forse tutto dipende dal rapporto fra il lago e l’uomo; forse l’acqua, il cielo, l’aria lacustri, sempre sotto una campana di vetro, producono uomini con gli occhi chiari e il cuore freddo. Sicché dicono no anche al lago. Qualcuno ha speso centinaia di milioni per abbellire il lido, ma i varesini non si fanno vedere. Poca storia, niente folclore. La famiglia "bosina" che va in cerca di tradizioni locali, mancando un "costume tipico" ne ha fatto disegnare uno da un pittore. Presi dall’operoso presente i varesini sanno poco del loro passato: "Dunque pare che qui ci fosse uno stanziamento di palafitticoli, poi venne il Foscolo in villeggiatura". Dicono no alle memorie, non perdono il sonno per le informazioni. Uno dei più noti industriali del luogo, l’Ezio Braga è in carcere da dieci giorni per una faccenda di frodi fiscali e il giornale locale “La Prealpina“ lo ignora e nessuno si sente leso dal suo silenzio. Forse tutto dipende dal rapporto terra uomo; forse qui gli alberi, le montagne, i prati, i colori restano un fatto puramente visivo, non stabiliscono un rapporto di calore e di sensi. O forse è la storia: una terra di contadini poveri che emigrano e vanno a Parigi "senza vedere Parigi"; una terra di ville forestiere, e le ville non sono centri di vita, ma di riposo, di sonno. Fatto sta che gli piace solo il lavoro; i pranzi del Rotary incominciano alle 13 e alle 14 e 30 chi si è visto si è visto, tutti di nuovo in fabbrica. Lavorano anche i carcerati: per una azienda di apparecchi elettrici. No alla vita associativa. Le grandi famiglie, i Cattaneo, i Troili, i Corti, i Mazzoni, i Mazzuchelli formano altrettanti clan. Non li si vede mai al caffè perché qui di uno che si ferma troppo al caffè ci si fida fino a un certo punto. Al massimo si fan vedere nei negozi, il negozio del noto salumaio è l’unico salotto frequentato della città. Con i figli dei ricchi si fa amicizia a scuola, poi basta, ognuno per la sua strada, passano anni senza che ci si veda. E continua la serie dei no. No al gioco, mai che si incontri un varesino a Campione; no alla lettura, anche per il Reader’s digest questa è terra magra: no anche alla speculazione edile, lasciata ai forestieri e no al divismo. Nei giorni della sua grande gloria l’Alfredo Binda, varesino tipico capitò con un amico al posto di frontiera di Ponte Tresa e si accorse di aver dimenticato il passaporto. "Torno indietro a prenderlo" diceva. "Ma va la", faceva l’amico, "non ce ne è bisogno, sei il Binda". E l’altro dopo aver riflettuto: "Magari ce ne è uno che dice: ma il Binda chi è? No, io torno a prenderlo". Tre volte campione del mondo, ma varesino. Cauto, anche con la sua gloria.

Qualcuno si ferma alla serie dei no e non è giusto, con Varese. Bisogna anche parlare dei sì che sono numerosi. Sì alla casa di proprietà: in città, al mare, in montagna. Si all’auto, una ogni tre persone in città, moltissime per gli operai: sì a telefoni, tv, frigoriferi. Sì agli ospedali efficienti, alla migliore clinica psichiatrica d’Italia, ai medici valenti, tanto rispettati che i vigili urbani non osano multarli. Sì a una civiltà di tipo svizzero, di saldi egoismi organizzati e di servizi inappuntabili. Lo diciamo con il dovuto rispetto questo tipo di civiltà è già meglio di una civiltà alla napoletana, meglio del grande filosofo che pensa ignorando la miseria che lo circonda. Anche se non è la perfezione come credono alcuni varesini. Poi sì al karting, al minigolf, ai negozi meglio forniti della penisola, a un reddito medio sul mezzo milione a testa, a una motorizzazione individuale che va svuotando corriere e filobus. Sì al benessere per tutti; se l’operaio ha la macchina il padrone è contento perché avrà il cuore e gli occhi freddi, ma tratta bene chi lavora con lui, è corretto, tiene fede alla parola data, se necessario paga di persona.

Ed è qui nel mondo del lavoro che il varesino rivela passioni, sentimenti e una sua ideologia. Il modo di vivere svizzero non solo come una condizione economica e psicologica, ma come categoria dello spirito, concezione del mondo: l’uomo che preferisce l’ordine modesto al caos, l’umile pragmatismo, le piccole virtù sicure piuttosto che le grandi virtù incerte. In questo mondo di buone medie l’albergo assomiglia alla clinica, la casa alla caserma, il sindacato a una società finanziaria, i comunisti ai migliori borghesi. (...) Oltre la Svizzera ideologica, c’è naturalmente, a due passi, la Svizzera ricca, la valvola di sicurezza che ha sempre risolto le crisi economiche compresa quella del ‘29. Qui le industrie durano, ogni anno quando si premiano gli anziani che hanno prestato servizio 35 o 40 anni nella stessa azienda se ne trovano a centinaia. Modestia, solidità, riserbo. Gli unici due imprenditori che ostentino la loro fortuna sono due milanesi: il Borghi e il Rusconi. Il Rusconi, impresario edile, 15 giorni fa ha preso la Rolls. Il Borghi, frigoriferi, prima ha pareggiato con un’altra Rolls e poi è passato in vantaggio con l’elicottero (...). Il dottor Ossola che fa da sindaco dice che i varesini alla cultura ci tengono. Hanno migliaia di allievi nelle scuole tecniche; hanno un ottimo osservatorio astronomico; hanno concerti frequentati, una gran biblioteca eccetera. (...) Ma i buoni servizi e la buona produzione non bastano a fare una città. Come non può bastare alla sua fama il noto calzaturificio.