Il segretario generale del Sunia: "Il dramma è la manutenzione. Inchieste? Ripartire dal pubblico"

Solo a Milano città 10mila alloggi popolari che restano sfitti, 22mila in tutta la Città metropolitana. L’esempio dell’Emilia Romagna. "Con la riqualificazione dell’ex macello nuovo mix sociale, non è negativo".

Solo a Milano città 10mila alloggi popolari che restano sfitti, 22mila in tutta la Città metropolitana. L’esempio dell’Emilia Romagna. "Con la riqualificazione dell’ex macello nuovo mix sociale, non è negativo".

Solo a Milano città 10mila alloggi popolari che restano sfitti, 22mila in tutta la Città metropolitana. L’esempio dell’Emilia Romagna. "Con la riqualificazione dell’ex macello nuovo mix sociale, non è negativo".

di Andrea Gianni

MILANO

"La questione più urgente nelle case popolari di viale Molise è legata alla mancata manutenzione, ma questo è un dramma che accomuna tutti gli stabili gestiti da Aler e MM. È lo spaccato di un problema che, purtroppo, resta irrisolto". Carmelo Benenti, segretario generale milanese del Sunia, sindacato inquilini della Cgil, osserva la galassia delle case popolari milanesi da viale Molise, una delle aree dove ha tratto origine l’edilizia residenziale pubblica sotto la Madonnina. Ora gli enti gestori "non sono in grado di ristrutturare le case".

Quanti sono gli alloggi popolari vuoti a Milano?

"Solo a Milano città sono 10mila, circa settemila di Aler e il resto di MM. Guardando a tutta la Città metropolitana, sono 22mila gli alloggi vuoti. La mancata manutenzione è indicativa di un sistema che sta collassando, oltre alle occupazioni abusive e all’alto tasso di morosità. Ci sono, d’altra parte, molti occupanti amministrativi che per errore non hanno sanato la propria posizione. Solo per recuperare le case del Comune di Milano servirebbe un miliardo di euro".

Come si potrebbe agire?

"Un esempio interessante è quello dell’Emilia Romagna, dove si permette agli affittuari di case in grave stato manutentivo di scalare le spese della ristrutturazione, pagando quindi un basso canone d’affitto".

Il Comune ha lanciato il progetto “case ai lavoratori“. Sta funzionando?

"Il Comune è partito con 300 case, Aler stava già attuando simili iniziative. Sono progetti che andrebbero ampliati, coinvolgendo non solo le imprese pubbliche ma tutto il sistema. Le imprese avrebbero il vantaggio, offrendo questo strumento di welfare, di trattenere i dipendenti ed evitare che lascino Milano. Oggi una cassiera è troppo ricca per l’edilizia residenziale pubblica, ma troppo povera per il libero mercato. Nelle case popolari entrano solo gli ultrapoveri, il Comune incassa 30 milioni all’anno ma ne spende 50. Così viene meno anche il mix sociale, si creano quartieri ghetto".

Come conviveranno le case popolari con la riqualificazione dell’ex macello, che porterà nella zona una fascia di popolazione ancora diversa?

"La trasformazione urbana in un’area periferica è positiva e creerà un nuovo mix sociale con benefici per tutti. Il problema vero, emerso dalle inchieste sulla gestione dell’urbanistica, è che il pubblico ha rinunciato a fare da cabina di regia. Dal 2012 in poi, con i primi progetti di housing sociale, il Comune ha appaltato lo sviluppo ai privati, senza prevedere una quota vera di edilizia a canone sociale. Bisognerebbe rivalutare, ad esempio, il mondo della cooperazione. La massimizzazione del profitto a spese del pubblico non va bene, è giusto mettere in discussione questo sistema".