Morbegno, “uova di selva” da galline felici

Richieste anche dall’estero «ma devono restare eccellenza locale»

RUSPANTI In ogni stagione le galline scorrazzano nel bosco

RUSPANTI In ogni stagione le galline scorrazzano nel bosco

Morbegno (Sondrio), 21 agosto 2018 - Sono partite in 1.300 per Verona, in attesa dell’evento che, all’Arena, vedrà esibirsi Andrea Bocelli, mentre altre 120 hanno viaggiato in direzione di Bolzano, sull’auto che uno chef ha appositamente mandato in Valtellina. Rare eccezioni, perché di norma le uova di selva non si spingono mai troppo oltre il confine di Milano e dintorni.

Questione di freschezza e di coerenza. «Sono del territorio ed è giusto che restino qui, tra la provincia di Sondrio e il Milanese», esordisce Massimo Rapella, di Morbegno, titolare del marchio Uovo di selva e dell’azienda agricola a esso collegata “La Gramola”, sulla strada per il passo San Marco, nella valle del Bitto di Albaredo, dove scorrazzano spensierate oltre 2.000 galline. Erano 4 in origine, quando Rapella ha avviato l’attività. Poi, progressivamente, sono aumentate. Nel 2013, sono diventate 700, ora sono 2.100, su due ettari di bosco di castagni a 600 metri.

Depongono più o meno 1.300 uova al giorno. «Il numero varia in base alla stagione e alle condizioni: più sono felici meno producono», dice. Il contrario degli allevamenti intensivi. Una volta deposte, le uova partono insieme a Rapella che le consegna, entro 24 ore, ai destinatari, senza intermediari. Niente negozi, solo privati o ristoranti, una trentina in totale, da quello a Milano di Aprea, due stelle Michelin, a semplici trattorie di paese. Non fa differenza, «sono tutti sullo stesso piano, perché usano le mie uova in modo diverso. L’uovo è democratico, non d’élite», aggiunge.

L’unica differenza la fa la distanza: «Ci arrivano richieste da Roma, Napoli, Vienna, Parigi. Anche da 3 stelle Michelin, ma non posso spedirle, il mio lavoro perderebbe senso». Non solo perché l’uovo è legato indissolubilmente al suo territorio d’origine, non replicabile altrove, ma anche per questioni prettamente pratiche. Non spedendo per imballaggi e confezioni, «risparmio oltre 10 tonnellate di carta», spiega.

L’hanno imparato anche i clienti che arrivano con le rispettive sporte al momento dell’acquisto. Sono loro, col passaparola, a fare pubblicità, non serve altro. Basta assaggiarle per parlarne bene. «Non sono mai uguali l’una all’altra, cambiano con il bosco, il clima, perché le galline si alimentano solo con sottobosco e granaglie bio. In inverno, sono più piccole, altre volte più colorate o acquose».

Una bella sfida legata a mille variabili e a un’estrema incertezza. Tra gli alberi, si sa, si aggirano falchi, poiane, tassi, volpi e faine che sono un pericolo ma possono paradossalmente diventare anche un’opportunità. «Le faine, ad esempio, tengono i boschi puliti dai roditori», aggiunge. Dopo una giornata di scorrazzate, la notte le galline “tornano all’ovile”, accudite dalle loro babysitter: «Un dipendente ogni 500 animali, contro l’uno ogni 60mila dei capannoni».