Pesca nel lago di Garda "Rinunciamo alla quantità"

Le associazioni professionali e sportive mettono nero su bianco la loro scelta. E lavorano insieme a regole per conservare il patrimonio ittico del futuro

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di Federica Pacella

Pescatori del Garda pronti ad auto-limitare le quantità di pescato e a rivedere i periodi di fermo, a tutela di habitat e ittiofauna. Una scelta, quella della rinuncia, che emerge chiaramente dal documento inviato alle Regioni Lombardia e Veneto e alla Provincia autonoma di Trento dal Tavolo di lavoro interregionale composto da Comunità del Garda (che ha tenuto il coordinamento) e le associazioni di pesca professionale e sportiva.

"Questo lavoro – spiega Filippo Gavazzoni, vicepresidente della Comunità del Garda – nasce dal Contratto di lago sottoscritto nel 2019 da tutti i sindaci del Benaco, che fissava gli obiettivi primari per garantire la salute dell’habitat, la tutela dell’ambiente gardesano nel futuro. La divisione amministrativa del lago fra i diversi enti, infatti, ha messo il Garda in una situazione di difficoltà perché, come tutti i bacini d’acqua interni, ha un ecosistema tra i più fragili e per tanto necessita di regole quanto meno unitarie di gestione".

Sul fronte pesca invece coesistono tre regolamenti, seppur simili per molti aspetti. Da qui lo sforzo di pensare a regole comuni, già condivise da chi le deve poi rispettare (i pescatori) e mirate a conservare l’ittiofauna anche nel futuro. "Abbiamo dati e studi che ci dicono che, se le cose non cambiano, da qui a pochi anni non si farà più la pesca di professione, perché non ci sarà più pesce da pescare. Già oggi, la maggior parte del pescato è costituito dal lavarello (coregone, ndr), specie alloctona, e ci si arrabatta per qualche persico. Per quanto riguarda la pesca sportiva, bisogna capire che il Garda non è una cava dove si paga e si prende il più possibile: ci devono essere dei limiti ben precisi di prelievo, per non alterare l’ecosistema. Il documento unico, che ora è al vaglio degli enti, è un grande passo avanti".

Tra le novità, c’è la riduzione di quantitativo di agone pescabile da 5 a 3 kg a uscita (nel limite del tetto massimo annuale). Inoltre, si pensa di istituire un libretto (app) segnacatture per valutare l’andamento degli stock ittici. Tra le richieste, anche lo studio della biomassa ittica gardesana. Se si è arrivati a questo punto è perché in passato non si è badato alla tutela dell’ecosistema.

Caso emblematico è appunto quello del coregone, specie alloctona immessa agli inizi del 1900 per dare redditività ai pescatori. Ora, con la Carta ittica nazionale, si va verso il divieto di nuove immissioni (per ora vige una proroga). "Il problema non è se è alloctono o autoctono, anche perché ormai si è acclimatato – sottolinea Gavazzoni, che da anni studia questi temi – Il punto è che per mantenere il mercato vengono immesse 40-50 milioni di larve all’anno, e questo scompensa l’equilibrio alimentare, andando a far morire di fame le specie autoctone per le quali non ci sono immissioni. Si dovrebbe cambiare prospettiva e ragionare sulla quantità".