Andrea
Maietti
Zio Melchiorre da vecchio a Sanremo. "Se anche sapessi di morire tra pochi giorni –
diceva – non cambierei niente della mia vita: le mie ore nell’orto, la partita a scala
con zia Erminia e la signora Carla, che è nostra ospite fissa". La Carla abitava a
Sanremo da mezzo secolo, ma parlava ancora il suo dialetto pavese. "Sono partita dal
mio paesino – raccontava - un giorno d’inverno che la neve potevi mangiarla
all’impiedi e i tetti grondavano ghiaccioli grossi come fusi. Un freddo da galera. Mi
scaldavo al braccio del mio Antonio, un giovanottone di Sanremo che avevo
incontrato alla sagra sulla balera. Alla stazione di Pavia mia sorella aveva i lacrimoni.
E io a dirle: "Non piangere, tontolona: io vado a star bene". Non ne potevo più del
mio paesino di mille anime, comprese le oche e le galline. Appena arrivata a Sanremo
ho dovuto togliermi il cappotto, perché c’era un sole da primavera. E mi è venuto da
piangere per come era azzurro il cielo. Il mio uomo me l’ha portato via un male di
quelli, quindici anni fa. Adesso passeggio da sola sul lungomare. Due parole con
qualche signore gentile, seduto a prendere il sole. Sono vecchi e soli anche loro.
Aspettano qualcuna disposta a far loro compagnia negli ultimi anni e magari a
lavargli la patta: ciàpel! Meglio venire qui da Erminia e Melchiorre per la scala
quaranta e contarla un po’ su. E intanto tiro avanti, come Dio vuole, senza nostalgie.
Meglio il sole di Sanremo che il ghè-ghè delle rane del mio paese. Le cose buone
della mia Bassa lombarda però le ho conservate: il risotto con le rane, per esempio.
Con gli anni mi sono fatta la mia filosofia: il destino è destino. E allora bisogna
prenderla come viene, anche quando ti prende un magone che neppure il sole e il
mare di Sanremo ti possono asciugare". Il lungomare di Sanremo. Aveva ragione lei,
la Carla: tante solitudini, una accanto all’altra. Non zio Melchiorre: lui solo non si
sentiva mai. Riusciva a parlare anche con Tobia, la tartaruga centenaria del suo orto.