L’alluvione e la frana Il disastro 35 anni fa

Due paesi cancellati, 53 morti e danni per 4mila miliardi di lire

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di Gabriele Moroni

Il 28 luglio 1987 è un martedì. Alle 7.23 una frana si stacca dal Pizzo Coppetto, una montagna a 3.066 metri d’altezza (sarebbe più corretto parlare del Monte Zandila). Quaranta milioni di detriti rotolano a valle a 360 km all’ora. Dura mezzo minuto.

Il dramma della Valtellina è iniziato dieci giorni prima. Tartano è il nome di un torrente, di una vallata, di un paese a 1.200 metri di altitudine. Una pioggia insistente ha infradiciato il territorio fino a costringerlo alla resa.

Sono le 7.04 del 18 luglio, un sabato. Un’unica massa di acqua e fango si incanala nel greto del torrente e prosegue la sua marcia. In un alpeggio vengono travolte due persone. La massa si abbatte sul condominio La Quiete, lo trapassa dividendolo a metà. Più sotto c’è gente, tanta. Sono gli ospiti dell’hotel La Gran Baita. Stanno, fra il pergolato e la veranda, a osservare come ipnotizzati la massa che avanza.

Il condominio che si frappone fra l’albergo e la montagna impedisce di vedere quale direzione prenderà. La frana scavalca la strada, piomba sopra la Gran Baita. Le dieci persone sulla veranda muoiono imprigionate in una corazza di fango. Altre nove, sul porticato, vengono scagliate lontano dallo spostamento d’aria. I corpi non saranno mai ritrovati. La tragica, catastrofica, sinistramente epica alluvione della Valtellina inizia allora, con i 21 morti di Tartano.

Torniamo al 28 luglio, a quella massa immane di 40 milioni di metri cubi di roccia e terra. È inarrestabile. Risale per più di 300 metri il versante opposto della montagna provocando un’immensa onda d’urto, s’infila sotto lo spezzone di roccia di San Bartolomeo, si incastra in basso, nella strozzatura della valle, spazza via ogni cosa che incontra, risale ad Aquilone. Viene investito il paese di Sant’Antonio Morignone con le contrade Morignone, Tirindrè, Piazza.

Aquilone e Sant’Antonio cancellati. Sant’Antonio Morignone, borgo di agricoltori, operai della Levissima, frontalieri, è stato evacuato prima di essere sommerso, ma nella piana è la morte per sette operai che stanno smobilitando. La gente è stata fatta sfollare anche da Aquilone, salvo alcuni abitanti ritenuti erroneamente fuori pericolo. Per loro non c’è scampo. I detriti bloccano il corso dell’Adda.

Si crea un lago naturale. È il lago della Val Pola, legato al terrore di un nuovo Vajont perché la montagna continua a franare. Sarà lentamente svuotato per tutto il mese di agosto. Alla fine dell’emergenza si fanno la conta dei caduti e la stima dei danni. I morti sono stati 53, 341 le abitazioni distrutte, 1.545 quelle danneggiate, 23mila gli sfollati, 4mila miliardi di lire i danni.