Travolto in scooter, muore a 18 anni. L'investitore: "Quella maledetta sosta al bar"

Resta in cella l'infermiere che ha travolto e ucciso il giovane

Il luogo dell'incidente

Il luogo dell'incidente

Sondrio, 23 ottobre 2018 - «Mi sono fermato in un bar dopo aver finito il turno in ospedale, non so perché l’ho fatto, non è una mia abitudine, non lo faccio mai. Lì ho bevuto un cocktail con dentro un superalcolico, e anche un po’ di vino. Stavo sorpassando, è vero, ma non avevo proprio visto quel motorino, altrimenti non lo avrei mai fatto». È un fiume in piena Mirza Trokic, l'infermiere trentottenne di origini serbe residente da anni a Sondrio, dove vive con moglie e due figlie. Ieri mattina è stato interrogato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sondrio, Carlo Camnasio, dopo l’arresto con l’accusa di omicidio stradale aggravato dallo stato di ebbrezza. Venerdì sera Trokic, alla guida della sua auto, una Volkswagen Passat, ha travolto il motorino condotto da Daniele Bertolini, diciottenne di Buglio in Monte, morto sul colpo per le terribili lesioni riportate nello scontro.

Davanti al gip Trokic ha deciso di parlare, di raccontare tutto di quella serata maledetta, senza sottrarsi, senza avvalersi della facoltà di non rispondere. Al giudice ha descritto quella sosta in un bar lungo il tragitto che da Gravedona – dove lavora come infermiere all’ospedale Moriggia Pelascini - lo doveva portare a casa a Sondrio, invece lo ha portato in una cella del carcere cittadino. Ha detto tutto, a partire da cosa ha bevuto in quel locale dove si è fermato, «anche se non è certo una mia abitudine farlo» ha precisato. Ha raccontato di quella manovra di sorpasso, in un tratto dove superare non è consentito, in un tratto della statale 38 a Castione Andevenno particolarmente pericoloso, prossimo a una rotonda. <

Ha raccontato la sua disperazione per quello che è accaduto, ma ovviamente questo non è bastato. Il giudice, infatti, ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere, proprio come aveva chiesto il pubblico ministero, Stefano Latorre, e senza accogliere la richiesta, invece, dell’avvocato difensore, Francesco Romualdi, che chiedeva che il suo assistito potesse tornare a casa, agli arresti domiciliari. Resta in cella, fondamentalmente per due motivi: troppo grave l’episodio avvenuto poco dopo le 23.30 di venerdì sera, e il fatto che il trentottenne fosse anche recidivo. Innanzitutto, il padre di famiglia di origini serbe aveva un tasso di alcol nel sangue superiore a 1,5 grammi per litro, anche nelle analisi del sangue effettuate in ospedale qualche ora dopo l’incidente, circostanza che inquadra il reato nella fattispecie più grave. C’è, poi, come detto, la recidiva: l’infermiere, infatti, sette anni fa fu sorpreso alla guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e gli fu ritirata all’epoca la patente di guida, anche se non si sa come sia evoluto l’iter processuale relativo a questa passata denuncia. C’è da immaginare, comunque, che nei prossimi giorni l’avvocato Francesco Romualdi reiteri la  richiesta di una misura cautelare meno restrittiva per il suo assistito che, al momento, resta rinchiuso nel carcere di via Caimi.