Andrea
Maietti
Oggi si desidera tanto, ma non si ama più nulla: bella cruda sintesi dell’amico parroco
don Guglielmo. Oggi dove? Ovunque, Bassa compresa, che un vecchio slogan di
promozione turistica etichettava come oasi di verde e di superstite humanitas. Don
Guglielmo va giù duro: “Non date retta a certe nostre tradizioni popolari. Il vero
problema è vedere se ci sia ancora una fede che dia un senso alla vita, oppure se
siamo diventati come quei pensionati che, stufi di tanto faticare, adesso pensano alla
pesca all’anguilla, e se ne stanno sul ciglio dei fossi, in attesa che scenda la sera”.
Sarà perché sono anch’io vecchio che sento irresistibile tenerezza per il pensionato
che si ferma sul ciglio di un fosso ad aspettare la sua ineluttabile sera. Ha voglia di
rivivere qualche reliquia della sua Bassa. Sempre più arduo da quando alcune nostre
tipicità si sono affievolite se non dissolte. Prima ancora del dialetto, penso ai “campi
quadrati cinti di gelsi”, alle maliose cortine di nebbia, alla neve che andava da Santa
Lucia alla Candelora. Restano reliquie. Le paludi antiche con gli sbuffi di fuoco di
Tarantasio, le bonifiche e la marcite dei cistercensi: il Medioevo che sì è protratto
fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Sono arrivate poi le monocolture, la
ghigliottina degli alberi, che alle colture tolgono spazi, e tutti i veleni spifferati
intorno da centrali, macchine e comforts. Reliquie da conservare e da tramandare:
“Questo, straniere genti, oggi ci resta”. Mesta è madre Lombardia. Ma avrà per noi
ancora “un rapido sospiro inginocchiata davanti all’Eterno”, se le reliquie terremo a
cuore. I poveri che eravamo. La loro filosofia di vita. Semplice e radicata come una
gaba (gelso). Ne ho visto ancora qualche reliquia dalle parti di Terraverde, il paese di
mia madre. “Il divino del pian silenzio verde” è una sinestesia che il Carducci deve
aver partorito scendendo nella nostra Bassa. Aveva, pare, una morosa a Lodi.