GABRIELE MORONI
Cronaca

Viaggio nella Storia, lo stratagemma del bormino Pedranzini per fermare gli austriaci

Nella guerra d’Indipendenza memorabile battaglia sulle cime

Un gruppo di combattenti valtellinesi (Orlandi)

Un gruppo di combattenti valtellinesi (Orlandi)

Bormio, 31 luglio 2016 - Guerra sfortunata, la terza d’indipendenza combattuta dall’Italia, alleata della Prussia, contro l’Austria. Batoste per terra (Custoza) e per mare (Lissa). A salvare l’onore delle armi italiane provvede il solito Garibaldi, che a Bezzecca sconfigge gli austriaci, anche se a prezzo di perdite sanguinose. Forse anche per questo la ricorrenza dei 150 anni sta trascorrendo senza celebrazioni né squilli di fanfare. La guerra del 1866 coinvolge anche la Valtellina.

La lapide posizionata al Passo Pedranzini
La lapide posizionata al Passo Pedranzini

Allo scoppio delle ostilità, il 23 giugno 1866, l’esercito viene diviso in due armate: la prima, al comando del generale Alfonso La Marmora, stanziata in Lombardia: la seconda, agli ordini del generale Enrico Cialdini, schierata in Emilia-Romagna, a sud del Po. Al Corpo Volontari Italiani di Garibaldi spetta di controllare il fronte alpino, lungo il confine che divide la Lombardia dal Tirolo e dal Trentino con un’attenzione particolare per due vie di penetrazione: il Passo dello Stelvio, a nord, e il Passo del Tonale, al centro. Attraverso la terza via, il lago d’Idro, a sud, il grosso dei volontari dovrebbe puntare su Trento.

Il 29 giugno, cinque giorni dopo la sconfitta italiana a Custoza, l’arciduca Alberto telegrafa al generale Franz Kuhn von Kuhnenfeld, comandante delle forze imperiali nel Tirolo: «Tenere presidiati passi Tonale e Stelvio con tiratori stanziali, contemporaneamente avanzare per detti passi con truppe mobili su Edolo, Tirano, Teglio, da lì condurre una piccola guerra». La «piccola guerra» inizia subito. I passi non sono difesi, gli austriaci trovano la strada aperta. In Valcamonica le cose si mettono male. A Vezza d’Oglio, il 4 luglio, gli austriaci attaccano di sorpresa due compagnie del 44° Guardia Mobile, un battaglione del 5° reggimento volontari e il I battaglione bersaglieri. Le perdite sono pesanti: 14 morti e 66 feriti contro 4 caduti e 17 feriti del nemico. I volontari sono costretti a ripiegare su Edolo.

Il 2 luglio una colonna austriaca, scesa dallo Stelvio, ha occupato Bormio. La sconfitta di Vezza d’Oglio ha reso precaria la situazione del colonnello Enrico Guicciardi, almeno in teoria agli ordini di Garibaldi, che in Valtellina guida un esercito non regolarmente militarizzato composto da due battaglioni, il 45°, composto da valtellinesi, e il 44°, che raccoglie uomini di Breno e di Clusone: insieme formano la 1a Legione di Guardia nazionale mobile, a cui si aggiungono un plotone di 23 carabinieri reali, guardie doganali e forestali, altri volontari. In tutto circa 1.200 combattenti. Dopo Vezza d’Oglio la Legione retrocede a Tirano e si prepara a una guerra difensiva. Non ce n’è bisogno. Il 3 luglio i prussiani travolgono a Sadowa l’esercito di Francesco Giuseppe. «Le tracce di guerre antiche e più recenti sono spesso meta di escursionisti appassionati di storia. Si punta a valorizzarle sempre più», dicono agli uffici turistici dell’Alta Valtellina.

Gli austriaci sospendono le ostilità sul fronte italiano, ma tengono ancora i passi. Dallo Stelvio piombano spesso su Bormio per scorrerie e violenze. Il clima si fa sempre più intollerabile. S’inserisce qui l’episodio più audace e romantico di quella strana guerra in terra valtellinese. Il protagonista è Pietro Pedranzini, un bormiese quarantenne, luogotenente della Guardia Nazionale. Attorno alla mezzanotte dell’11 luglio, al comando di una squadra di 40 uomini, scala la Cima Reit (oggi Passo Pedranzini, con una lapide a ricordo del fatto), discende dai Ghiaioni di Glandadura verso la strada dello Stelvio. Alla I Cantoniera Pedranzini e i suoi fanno il diavolo a quattro: sparano, rotolano massi che sollevano un gran polverone, suonano il corno. L’inganno ha successo. I 65 soldati austriaci del presidio, al comando di un tenente, credono di essere circondati e si arrendono. Perdanzini li incolonna e li porta a Bormio.