Cosio Valtellino, i parenti di Svetlana Balica: "Cercatela, non ci arrendiamo"

Per la Procura tutto chiaro: Nicola Pontiggia ha ucciso la moldava e poi si è tolto la vita. Ma il corpo non c’è

Vane le ricerche organizzate nel week-end

Vane le ricerche organizzate nel week-end

Cosio Valtellino (Sondrio), 27 giugno 2018 - Nonostante tutto. Nonostante gli inquirenti siano certi che Svetlana sia stata uccisa dal marito Nicola Pontiggia che poi si è tolto la vita, nonostante ci siano immagini, seppur poco chiare, di lui che trascina il corpo di lei, nonostante tutto i familiari in Moldavia ancora sperano di poterla riabbracciare. Potrebbe sembrare assurdo, anche perché sono passati quasi otto mesi e, se fosse viva, si sarebbe già messa in contatto con i suoi cari, avrebbe fatto loro sapere qualcosa. Ma i parenti di Svetlana Balica, la 44enne moldava trapiantata a Cosio Valtellino scomparsa tra fine ottobre e inizio novembre scorso, non hanno un corpo e una tomba su cui piangere, e non riescono a smettere di sperare.

«Il corpo non è stato trovato e le ricerche sono state interrotte», dice in inglese Radu Turcanu, l’adorato nipote di Sveta. Al suo matrimonio lei e Nicola avevano partecipato con entusiasmo solo poche settimane prima della morte di lui e della scomparsa di lei. «<Se spero ancora di rivederla e che sia viva? Hope dies last...». Insomma, la speranza è l’ultima a morire e a questa si aggrappano i familiari della donna, che dalla Moldavia hanno assistito a distanza, pur in costante contatto con le autorità locali, a quello che stava accadendo in Valtellina.

Per essere certi che sia morta, per conoscere davvero la verità, serve un corpo che, però, si è smesso di cercare. «Se un cadavere c’è bisogna trovarlo, non si può smettere di cercarlo», le parole di una cugina che per qualche tempo ha vissuto in Italia per poi tornare in Moldavia. Ma la Procura di Sondrio, come detto, ha chiuso l’indagine. Gli inquirenti sono certi di quello che è accaduto a Svetlana Balica. Nicola Pontiggia, 55 anni, avrebbe ucciso la moglie, forse perché lei voleva lasciarlo. Poi, ha portato il corpo senza vita nel capannone dell’azienda Castelli, dove lavorava da 27 anni, si è liberato degli effetti personali della donna, dei documenti e di una valigia, cercando di far credere che fosse scappata. E poi si è tolto la vita inscenando un agghiacciante incidente sul lavoro: dopo aver messo in moto il camion, lasciato su una rampa leggermente inclinata e senza i cunei per bloccarlo, si è infilato tra le ruote con in mano una pinza e la cassetta degli attrezzi poco distante, poi ha atteso che l’impianto perdesse pressione e, quando il mezzo pesante è ripartito, è rimasto schiacciato. Tutto questo il 2 novembre dell’anno scorso. Di questo gli investigatori sono certi, anche grazie ai filmati delle telecamere all’interno del capannone aziendale che, seppur non chiari, hanno immortalato il valtellinese mentre trascina un grosso fardello (probabilmente il corpo) e brucia qualcosa, i documenti della donna, pensano gli inquirenti. Ma il corpo non si trova e, a meno che non “riemerga” da sé, difficilmente sarà scoperto.