Clima, le Alpi si sgretolano: senza permafrost rifugi e bivacchi sono più a rischio

Allarme in alcune strutture d’alta quota: “Non riusciamo ad aprire le porte”. Il ghiaccio sotterraneo, la colla che tiene insieme milioni di metri cubi di roccia “fugge” sempre più in alto. I ricercatori al lavoro per prevenire cedimenti

Un rifugio in montagna

Un rifugio in montagna

Sondrio –  Con il clima che si surriscalda le montagne non perdono solo la loro briglia di neve e ghiaccio che le ricopre, ma si stanno sciogliendo anche nelle loro viscere. Se non si invertirà la tendenza, lo scenario è quello di un Arco alpino sempre più fragile, una situazione che inevitabilmente dovrà far riflettere sulla frequentazione delle montagne, il futuro dell’alpinismo e dei rifugi in quota.

È il permafrost, il ghiaccio sotterraneo, la colla che tiene insieme milioni di metri cubi di roccia, che con l’innalzamento delle temperature “fugge” sempre più in alto lasciando montagne instabili. La mancanza di neve acuisce il problema della siccità, ma è la perdita della funzione fondamentale che svolge il permafrost nel mantenere solide le Alpi che rischia di provocare eventi catastrofici e pericolosi. Il permafrost infatti è composto da suolo, detriti o roccia ghiacciati a una temperatura uguale o inferiore allo zero per due o più anni consecutivi.

L’aumento delle temperature globali ha drammaticamente accorciato i tempi e sta causando la sua progressiva scomparsa. Un assaggio di quello che rischia di capitare sempre più spesso lo si è visto il 23 agosto del 2017, quando una parte del versante Nord del Pizzo Cengalo, 3396 metri, spartiacque fra Italia e Svizzera, è collassata riversando sulla Val Bondasca un inferno di pietre e terra che inghiottì otto scalatori. Negli anni precedenti la montagna aveva dato segnali con una serie di frane meno imponenti dovute anche, ma non solo, proprio alla scomparsa del permafrost.

Ne sanno qualcosa anche i gestori di diversi rifugi in quota che rischiano di “scivolare”, alle prese con gravi problemi strutturali, come il Casati in Valtellina (a 3.269 metri, che si affaccia sul ghiacciaio dell’Ortles Cevedale fra Lombardia e Trentino, e addirittura il rifugio più alto delle Alpi, quello dedicato alla Regina Margherita, a 4554 sul Monte Rosa, poiché poggiano su ammassi di roccia nei quali è proprio il ghiaccio a fare da cemento. Un’altra struttura che soffre particolarmente dell’aumento delle temperature è il rifugio Caduti dell’Adamello, che risale agli anni Venti del Novecento, a 3040 metri di quota, già oggetto nei primi anni Duemila di interventi sulla stabilità. Situazioni analoghe coinvolgono anche alcuni storici bivacchi, piccole strutture incustodite, che spesso servono da salvavita per gli alpinisti.

La scorsa estate il crollo di uno sperone roccioso sul Monte Bianco si è portato via il vecchio “Alberico-Borgna”. Il bivacco si trovava nei pressi del Col de la Fourche, sulla cresta sud-est del Mont Maudit. Nessuna persona fortunatamente è stata coinvolta ma la struttura, costruita nel 1935 a 3.674 metri di quota, si trova ancora schiantata trecento metri più in basso. Anche sul versante settentrionale delle Alpi, quello Svizzero, la situazione non è migliore.

La prossima estate il Club alpino svizzero sarà impegnato nei lavori di demolizione e la successiva ricostruzione per 3,7 milioni di franchi, del Rothornhütte, nel Cantone Vallese. Già ricostruita a un chilometro di distanza la capanna Mutthornhütte a 2.900 metri, nel Canton Berna. "I crolli e le rotture si stanno verificando in una fascia di roccia che è quella che corrisponde al ritiro del permafrost, che con lo zero termico che si innalza sempre di più, finisce per “scappare“ verso l’alto. Questo succede in una fascia compresa fra i 3mila e i 3.500 metri. Eventi di questo tipo stanno aumentando in maniera preoccupante - spiega Francesco Calvetti, ingegnere, professore del Politecnico di Lecco, in prima linea, con alcuni suoi studenti, nello studio sulla stabilità del rifugio Margherita sul Monte Rosa -. Siamo partiti con un nuovo contratto di ricerca con il Cai, che prevede il finanziamento di una borsa di dottorato che permetterà di effettuare nuove misure puntuali sull’ammasso roccioso su cui poggia il rifugio Margherita. Faremo nuovi sondaggi, un rilievo geomeccanico che ha lo scopo di valutare lo stato del ghiaccio all’interno di giunti. Metteremo dei termometri in profondità. Misureremo eventuali spostamenti e potremo valutare la propagazione di fratture nell’ammasso". Nel frattempo si procede con il censimento delle strutture in pericolo.

«Ci sono rifugisti che hanno segnalato difficoltà ad aprire le porte e stiamo cercando di programmare per l’estate una serie di sopralluoghi. Anche se la questione più grave probabilmente riguarda i bivacchi e le opere corollarie dei rifugi che venivano costruiti su creste o in luoghi meno protetti - spiega Riccardo Giacomelli, presidente della struttura “Opere alpine“ del Club alpino italiano. Per quanto riguarda il rifugio Casati invece stiamo facendo la progettazione definitiva della nuova struttura. Abbiamo iniziato a studiare la situazione del Casati nel 2017 e di anno in anno abbiamo notato un peggioramento del “quadro fessurativo“. Il rifugio ha avuto un cedimento di quaranta centimetri in una parte. Al momento la situazione è ancora sotto controllo ma a medio termine la struttura perderà stabilità per questo si è deciso di demolirlo e spostarlo. Succede perché poggia, soprattutto la parte a Sud, su un versante detritico diventato instabile negli anni per la perdita del permafrost nel terreno. Il nuovo rifugio invece verrà realizzato su roccia, il luogo che dà più garanzie". La costruzione del nuovo rifugio sarà resa possibile da un finanziamento di 3,6 milioni di euro da parte della Regione Lombardia.