A Delebio l’oro dei kosovari: gioielli fusi in lingotti

La Valchiavenna punto strategico della banda coinvolta in traffici di esseri umani, armi e diamanti

Lingotti d'oro (Olycom)

Lingotti d'oro (Olycom)

Delebio (Sondrio), 3 luglio 2018 - Ufficialmente risiedevano nella stessa palazzina in via Quadrio a Delebio, ma uno dei due, considerato più pericoloso e al vertice dell’associazione, in realtà viveva a Novate Mezzola. La Valchiavenna era vista come un punto strategico per i traffici illeciti di esseri umani, armi, diamanti, oro, e anche per questo motivo era stata scelta da due kosovari fermati ieri nell’ambito dell’inchiesta dei carabinieri di Palermo che ha portato all’arresto di 17 persone. Erano a tutti gli effetti residenti in provincia di Sondrio, anche se qui in pochi sembrano conoscerli, sia Driton Rexhepi, 33enne, domiciliato a Novate Mezzola, ai vertici dell’associazione a delinquere, e XhemshitVershevci, 48 anni, un tirapiedi, se così si può dire.

Partiamo dalla tratta di esseri umani. Era Driton Rexhepi (che a Novate Mezzola è sposato con una donna del posto) che accoglieva i cittadini extracomunitari che lui stesso, proprio con l’aiuto di Xhemshit Vershevci, aveva precedentemente contattato soprattutto in Kosovo, loro terra natale, ma anche in altre zone dei Balcani. Dalla Valchiavenna, quindi, una parte degli stranieri veniva condotta fino al confine con la Svizzera. Secondo gli inquirenti, in provincia di Sondrio c’era una delle basi logistiche dell’associazione a delinquere, che faceva proprio capo a Driton Rexhepi. Con lui, oltre al connazionale, anche altri soggetti.

E in Valtellina sono avvenuti anche incontri tra diversi componenti della banda. Dalle intercettazioni, infatti, emergono appuntamenti in un bar vicino alla stazione di Morbegno per trattare «affari» vari, tutti ovviamente illeciti. Oltre alla tratta di esseri umani, infatti, i due erano implicati anche nel traffico di oro, diamanti e armi. Tanto che proprio in Valchiavenna, nell’abitazione di Novate Mezzola, Driton Rexhepi aveva custodito una decina di chili di oro, in parte già fuso in lingotti e in parte ancora composto da monili, provento di furti e rapine. In Valtellina, infatti, Rexhepi era in contatto con un gruppo di italiani e slavi dediti in maniera sistematica a questo tipo di reati: l’uomo era riuscito a ricollocare l’oro anche a Palermo, attraverso il lavoro di due complici anche loro sottoposti a fermo.