Maietti
Rintoccato il trentunesimo anno da quando il destino ti ha preso, Gioânn Brera, quel livido 19 Dicembre 1992. Come tu avevi sempre detto di volere: in un amen. Chissà se poi era vero. Si resta attaccati alla vita anche quando non ne resta che un moncherino. E tu a settantatré anni avevi ancora voglia di vivere: altri romanzi da partorire, per provarci, almeno da vecchio, a "masturbare Monna Letteratura", dicevi. Anniversari: ci si affeziona con gli anni. Per l’illusione di credere che non tutto è perduto delle persone che abbiamo amato. Per la certezza – ogni anno più cruda – che ineluttabilmente andiamo verso occidente. Per quanto non abbiamo alcuna voglia di metter fretta al destino, conforta il pensiero che Là qualcuno ci aspetta. La reazione è stata quella di un etimologico ad-dio: affidarti a un dio, magari quello della nostra pudica Bassa padana. "Luglio infuocato mugola pei campi ferito dalla stessa sua calura" (ha scritto il nostro conterraneo Cesare Angelini), ma noi ci stiamo e ci torniamo sempre volentieri nella Bassa, alla tua Pianariva come alla mia Costaverde: perché "Mej de la Val Padana ghe n’è minga". Continueremo a vivere, noi che ti abbiamo perduto: come è dovere e talvolta magari condanna. È il tuo lascito più grande, più della tua rutilante scrittura. "Bisogna lavorare, per essere pronti", mi hai confidato un giorno in Via Cesariano. Anche se non si è mai pronti abbastanza. Sarà presto Natale, Gioânn, la festa che più ti commuoveva: "Mia madre passa con una bracciatella di torroni per le povere camere odorose di sonno. L’acqua è gelata nel lavamano. Sui vetri della finestra l’inverno padano ha dipinto fiori bellissimi". Quel Natale dell’infanzia, della neve e delle zampogne, del presepio al posto dell’albero che non ci appartiene. Poeta della nostalgia ti ho chiamato. Ma nostalgia non ha mai fatto rima per te con malinconia. "C’è il tempo delle favole – dicevi e il tempo dei perché che non hanno risposta".