Tumore del fegato in fase avanzata, via libera Ue a un mix immunoterapico

Il nuovo approccio si basa su una singola dose di tremelimumab seguita da durvalumab in monoterapia

Un laboratorio di ricerca

Un laboratorio di ricerca

Da un mix di durvalumab e tremelimumab di AstraZeneca una nuova speranza nella terapia contro il tumore del fegato in fase avanzata che ora ha il via libera dell’Unione europea. E i primi risultati sembrano essere incoraggianti sia in termini di sopravvivenza sia di qualità della vita dei malati

L'approvazione da parte della Commissione europea - spiega l'azienda anglo-svedese - fa seguito al parere positivo espresso nel dicembre 2022 dal Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell'Agenzia europea del farmaco Ema e si basa sui risultati positivi dello studio di fase III Himalaya pubblicati su New England Journal of Medicine Evidence.

 

Terza causa di morte per cancro

Il tumore del fegato è la terza causa di morte per cancro e il sesto tumore più comunemente diagnosticato al mondo. Circa 87mila europei hanno ricevuto una diagnosi di tumore del fegato nel 2020 e il 51% presentava uno stadio avanzato al momento della diagnosi. I tassi di tumore del fegato continuano ad aumentare rapidamente, con un incremento del 70% della mortalità legata al tumore del fegato in Europa dal 1990 al 2019. Circa il 75% di tutti i tumori primari del fegato negli adulti è un carcinoma epatocellulare. L'80-90% dei pazienti presenta anche cirrosi. Le malattie epatiche croniche sono associate a infiammazione che può causare lo sviluppo di carcinoma epatocellulare. Più della metà dei pazienti presenta stadi avanzati di malattia, spesso alla prima manifestazione dei sintomi.

Il mix

L'approvazione per il trattamento del carcinoma epatocellulare - si legge nella nota - si basa sui risultati dello studio di fase III Himalaya in cui il regime Single tremelimumab regular interval durvalumab (Stride), composto da una dose singola dell'anticorpo anti-CTLA-4 tremelimumab associato all'anticorpo anti-PD-L1 durvalumab, seguito da durvalumab ogni 4 settimane, ha ridotto significativamente il rischio di morte del 22% rispetto a sorafenib. La sopravvivenza globale mediana era di 16,4 mesi rispetto a 13,8 con sorafenib. In base alle stime, il 31% dei pazienti trattati con la combinazione era vivo dopo tre anni rispetto al 20% di quelli trattati con sorafenib. 

Priming immunitario

 "I risultati dello studio Himalaya, in cui è stato utilizzato un innovativo approccio di priming immunitario con una singola dose di tremelimumab seguita da durvalumab in monoterapia - afferma Lorenza Rimassa, professore associato di Oncologia medica presso Humanitas University, Irccs Humanitas Research Hospital di Rozzano, Milano - forniscono un'importante arma aggiuntiva nel trattamento di prima linea del tumore del fegato in fase avanzata. Himalaya ha arruolato più di 1.300 pazienti ed è uno dei più ampi studi di fase 3 condotti nell'epatocarcinoma in stadio avanzato, con il follow-up a lungo termine più lungo finora presentato. Il nuovo regime Stride, basato sulla combinazione di due farmaci immunoterapici, durvalumab più tremelimumab, ha evidenziato un incremento della sopravvivenza clinicamente e statisticamente significativo rispetto a sorafenib, standard di cura al momento dell'avvio dello studio. Anche il tasso di risposta è risultato superiore con durvalumab più tremelimumab''.   Efficacia e qualità di vita

"I pazienti con epatocarcinoma in fase avanzata necessitano di trattamenti ben tollerati che possano prolungare significativamente la sopravvivenza globale - sottolinea Antonio Gasbarrini, direttore di Medicina interna e Gastroenterologia del Cemad Fondazione Policlinico universitario Gemelli Irccs, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - Un dato rilevante in questo studio è la percentuale di pazienti lungo-sopravviventi: a tre anni il 31% dei pazienti trattati con la combinazione è vivo, rispetto al 20% dei pazienti trattati con sorafenib. Oltre al miglioramento dell'efficacia, è importante sottolineare che la combinazione ha salvaguardato la qualità di vita, dimostrando un buon profilo di tollerabilità, molto importante nel trattamento di pazienti con questo tipo di neoplasia, che tendono ad essere più fragili e caratterizzati da diverse comorbilità".