"Italia senza bambini, un Paese senza futuro": l'allarme dei pediatri

In 12 anni le donne in età fertile sono diminuite di 1,3 milioni. Le soluzioni? Politiche finalizzate a facilitare la conciliazione tra famiglia e lavoro e un rapporto più equilibrato tra i generi

Il calo demografico in Italia

Il calo demografico in Italia

Milano - In dodici anni le donne in età feconda (tra i 15 e i 49 anni) sono diminuite di 1,3 milioni. E ancora: le donne tra i 35 e i 39 anni fanno più figli di quelle tra i 25 e i 29 anni mentre le over 40 fanno figli come le 20-24enni. Bastano questi dati per capire come in Italia - ma non è una novità - ci sia un grosso problema di denatalità. Gli ultimi a lanciare un grido d'allarme sono stati i pediatri italiani, con un articolo firmato da Rino Agostiniani, vicepresidente della Società italiana di pediatria (Sip), dal titolo che più diretto di così non si può "Un Paese senza futuro", sulla rivista ufficiale della Società.

"Nel 2020 le donne tra i 15 e i 49 anni (intervallo che convenzionalmente identifica le età feconde) erano 1,3 milioni in meno rispetto al 2008. Il minor numero di donne in età feconda, conseguenza del crollo delle nascite avvenuto nel periodo 1975-1995, comporta inevitabilmente, in assenza di iniziative finalizzate a un incremento della fecondità, meno nascite".

"Come pediatri dobbiamo ribadire con forza che la questione della denatalità è una priorità per il nostro Paese - scrive Agostiniani -. Fare figli non deve continuare ad essere considerata una scelta privata, ma un investimento da sostenere, sia dal punto di vista economico che sociale, nell'interesse della collettività. I bambini sono un bene comune, la vera ricchezza di un Paese. Un Paese senza bambini è un Paese senza futuro".

Un problema che viene da lontano

Il vicepresidente Sip ricorda che il problema della crisi demografica viene da lontano. "Iniziata nella seconda metà degli anni '70 e precipitata nel 2009, la crisi demografica ha condotto a un calo di circa un quarto delle nascite negli ultimi 10 anni (erano piu' di un milione nel 1964, 576.000 nel 2008, 420.000 nel 2019). Nei primi otto mesi del 2020 le statistiche ufficiali hanno registrato in Italia 268.000 nascite, circa il 3% in meno rispetto al 2019, e tutto lascia pensare che il record negativo raggiunto lo scorso anno verrà ulteriormente peggiorato nel bilancio del 2020, con una previsione (forse ottimistica) di 408.000 nati a livello nazionale". La situazione "già cosi' critica in epoca pre-Covid, è probabile che registri un ulteriore peggioramento nel momento in cui andremo a valutare gli esiti delle gravidanze iniziate da marzo in poi".

Il Covid ha peggiorato le cose

E' infatti "legittimo ipotizzare - sottolinea il vicepresidente Sip - che il clima di paura e incertezza, insieme alle crescenti difficoltà di natura economica, generati dall'epidemia, abbiano orientato negativamente le scelte di fecondità delle coppie". La fecondità bassa e tardiva è l'indicatore più rappresentativo del malessere demografico del Paese. Eppure "tra le donne senza figli (circa il 45% delle donne tra 18 e 49 anni nel 2016), quelle che non includono la genitorialità nel proprio progetto di vita sono meno del 5% - sottolinea il pediatra -. La scelta consapevole e deliberata di non avere figli è poco frequente, mentre è comune la decisione di rinviare nel tempo la realizzazione dei progetti familiari per la difficoltà delle condizioni economiche e sociali".

Le donne vivono "il rischio aggiuntivo degli effetti negativi di una possibile maternità, per contratti di lavoro e modelli organizzativi poco tutelanti la genitorialità e la scarsità, oltre che il costo, dei servizi per la prima infanzia", ricorda il pediatra. Una realtà fotografata dai dati dell'Ispettorato del Lavoro: oltre il 70% delle donne che lascia volontariamente il lavoro lo fa a causa della difficoltà a conciliarlo con la maternità e la cura dei figli. "Solo dopo che le donne, e ancor più i loro compagni, si sono stabilizzate nel mercato del lavoro e hanno migliorato il proprio reddito decidono di affrontare i rischi, e i costi, del primo figlio o di un figlio in più", sottolinea Agostiniani.

Il debito demografico italiano

Tutto questo crea nel nostro Paese un debito demografico. "Diminuiscono i giovani mentre aumentano gli anziani - scrive Agostiniani - il che ci rende uno dei Paesi più vecchi del mondo (al primo gennaio 2020 ci sono 178,4 persone di età superiore a 65 anni ogni 100 giovani con meno di 15 anni). Meno giovani significa meno nascite, sia attuali che future - evidenzia il vicepresidente Sip - meno famiglie con figli, con ulteriore accentuazione dello squilibrio generazionale, minore popolazione in età attiva, con le inevitabili conseguenze sulle risorse destinate al welfare, e minore peso politico delle generazioni più giovani, storicamente portatrici di rinnovamento".

Dunque che fare? "Le soluzioni ci sono - scrive il pediatra - ma necessitano di scelte coraggiose che consentano di intraprendere un percorso di radicale cambiamento, prima di tutto di tipo culturale. Basta guardarsi intorno e prendere esempio dai Paesi che buoni risultati li hanno gia' ottenuti", dice Agostiani. Per esempio la ripresa della fecondità in Francia o nei Paesi Scandinavi registrata negli ultimi anni "ha dimostrato che gli strumenti più efficaci per indurre le coppie ad andare oltre al primo figlio sono politiche finalizzate a facilitare la conciliazione tra famiglia e lavoro ed un rapporto più equilibrato tra i generi, con particolare riguardo ai congedi parentali", scrive il pediatra. In questi Paesi "pur attraverso l'adozione di strategie di tipo diverso (più incentrate sugli incentivi economici in Francia, sulla maggiore offerta e disponibilità di servizi dedicati all'infanzia nei Paesi scandinavi), le donne non sono costrette a difficili riflessioni su quanto avere un figlio potrà incidere sulla loro vita professionale", conclude il vicepresidente Sip.