Effetto Covid e rinuncia alle cure: in calo l'aspettativa di vita

Con la pandemia molti rinunciano alle cure, si rinviano appuntamenti e si evitano diagnosi. Il nodo dei pazienti oncologici

Paura del contagio: in molti rinunciano a cure e diagnosi

Paura del contagio: in molti rinunciano a cure e diagnosi

Milano - Effetto Covid: la Lombardia ha perso 2,4 anni di vita, il 10% di un’intera generazione. Ma l’aspettativa di vita alla nascita in Italia, con la pandemia, è tornata indietro in media quasi di un anno e le differenze nelle regioni sono evidenti, con la prima fase del Covid che ha abbassato l’asticella soprattutto al Nord. In generale in Italia si sono persi in media circa 9 mesi. La tesi è evidente: molti italiani si sono visti rinviare gli appuntamenti o addirittura hanno rinunciato in modo spontaneo alle diagnosi in ospedale, anche per la paura di imbattersi nella pandemia. A segnalarlo è l’Osservatorio permanente sullo stato dell’assistenza ai pazienti non-Covid-19, lanciato con il terzo Rapporto di Salutequità, organizzazione indipendente per la valutazione della qualità delle politiche per la salute, dedicato alla “Trasparenza e accesso ai dati sullo stato dell’assistenza ai pazienti non-Covid-19“. Sempre più difficile avere visite specialistiche o esami diagnostici in tempi brevi in ospedale, ma è anche in aumento di circa il 40% rispetto al 2019 la rinuncia alle cure dei pazienti non-Covid-19. 

Nel 2020 infatti il 10% dei cittadini ha rinunciato alle cure, circa la metà a causa del Covid, contro il 6,3% del 2019. Il fenomeno raddoppia rispetto al 2019, sempre a causa del Covid, in Piemonte (48,5%), Liguria (57,7%), Lombardia (58,6%) e Emilia-Romagna (52,2%). Le donne hanno rinunciato maggiormente alle cure. Se dunque va male per chi contrae l’infezione da Sars-Cov2, va malissimo dunque per chi era già affetto da altre patologie o, peggio, per chi avrebbe potuto evitarle grazie agli screening oncologici: nel periodo gennaio-settembre 2020 rispetto allo stesso periodo 2019 sono stati svolti 2.118.973 in meno di screening cervicale, mammografico e colorettale (-48,3%). Questa riduzione ha prodotto 13.011 minori diagnosi tra lesioni, carcinomi e adenomi avanzati. “Siamo fra i Paesi che hanno una maggiore aspettativa di vita alla nascita, sono 81 anni circa per il maschio e 85 per la femmina - aveva spiegato qualche giorno fa il professor  Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs - pero’ se andiamo a guardare qual e’ la durata di  vita sana, dobbiamo accorciarla di molti anni“.

La contrazione dell’accesso alle cure ha influito anche sull’accesso alle terapie innovative. Nel periodo gennaio-settembre 2020 continua l’importante riduzione della spesa dei farmaci innovativi non oncologici: -122,4 mln di euro rispetto al 2019. “Quel che è peggio però - spiega Tonino Aceti, presidente di Salutequità - è che se da un lato nessun provvedimento per gli anni 2021 e seguenti, a partire dall’ultima legge di Bilancio per arrivare al recente decreto Sostegni, ha preso in considerazione una qualsiasi forma di programmazione o finanziamento per il“rientro“ delle mancate terapie non-Covid”.

Un esempio singolare sui rapporti tra pandemia e altre patologie riguarda i pazienti di Leucemia mieloide cronica, un morbo che induce alterazioni biologiche nelle cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) che provocano una crescita e una proliferazione incontrollata delle cellule stesse. Una patologia di cui si registrano ogni anno in Italia oltre 1.000 nuovi casi, per un totale di 20.000 pazienti che convivono con una malattia che ora fa molto meno paura. Ma gli esperti raccomandano di non sospendere le terapie perché l’infezione da SARS-CoV-2 può essere più cattiva con i pazienti con neoplasie mieloproliferative (una famiglia di tumori del sangue) e i farmaci innovativi oggi disponibili possono aiutarli a difendersi anche dal Covid, riducendone la mortalità. 

È il risultato di uno studio italiano pubblicato sulla prestigiosa rivista Leukemia che vede tra gli autori il professor Alessandro Maria Vannucchi, professore ordinario di Ematologia dell’Università di Firenze,  fra i docenti del corso Philadelphia University. Lo studio dimostra che continuare le terapie oncologiche in corso di infezione da SARS-CoV-2 non solo non è deleterio ma può contribuire ad aumentare la sopravvivenza all’infezione di pazienti con malattie mieloproliferative. “Lo studio - precisa Vannucchi - ha riguardato 175 pazienti con queste malattie, che hanno avuto una diagnosi di Covid-19. La mortalità è risultata maggiore per questi pazienti rispetto a quella della popolazione generale, con un massimo del 48% per quelli con mielofibrosi. È emerso che la mortalità aumenta per i pazienti che interrompono la terapia con ruxolitinib. La molecola è un inibitore delle proteine JAK1 e JAK2, mutate nella quasi totalità dei pazienti, che di recente ha catturato anche l’attenzione di chi cerca terapie contro il Covid, in quanto favorirebbe la soppressione della tempesta di citochine”.