GABRIELE MORONI
Cronaca

Fabio Rapalli trovato morto, la setta dietro casa e una fine sospetta. Il gemello: dite la verità

Montù Beccaria, il giallo del 31enne rivenuto cadavere sotto il cavalcavia della Cisa. "Nostro padre è morto senza conoscere la verità, ora indaghino davvero. Le Bestie? Gente coi soldi. Arrivavano qui in paese ogni fine settimana"

Carlo Rapalli con la foto del figlio Fabio

Se a 31 anni non fosse stato strappato alla vita, oggi Fabio Rapalli sarebbe l’immagine speculare di Stefano, il suo gemello: massiccio, gran lavoratore, sguardo buono. La speranza mai venuta meno di Stefano oggi si attacca a un filo sottile, esilissimo. È l’iniziativa di Claudio Ghini, investigatore privato di Stradella, che ha depositato alla procura di Massa la sintesi di quindici anni di ricerche, prima da sottufficiale dei carabinieri, poi su incarico della famiglia Rapalli. Un dossier e un’ipotesi investigativa: guardare al processo alla Setta delle bestie, alla Corte d’Assise di Novara. Fra gli immobili nella disponibilità del gruppo, uno era a Costa Montefedele, la frazione di Montù Beccaria dove Fabio viveva con la famiglia e dove Stefano ha continuato ad abitare. Da lì si allontanò il 19 maggio del 1996 in sella alla sua motocicletta Aprilia Pegaso. Il corpo mummificato venne ritrovato il 7 settembre in un dirupo alla Cisa, alla località Montelungo, a Pontremoli.

Stefano Rapalli, conosceva l’esistenza di questa Setta delle bestie?

"La casa è vicina alla mia. Ai tempi conoscevo anche il vecchio proprietario. Si vedevano tante macchine, il sabato e la domenica. Mi domandavo come facesse a stare tante gente in una casetta piccola, veramente piccola. Dovevano essere persone un po’ danarose. C’erano anche donne, ragazze. Era tutto chiuso, non si vedeva niente, solo le macchine. La storia è andata avanti per dieci anni. In questi giorni Ghini mi ha detto del processo".

Speranze?

"Magari uscisse qualcosa, un collegamento. Chissà perché proprio qui a Montefedele. Gli anni coincidono. Può darsi che qualcosa ci sia stato. A me non viene in mente niente. La speranza c’è sempre. Come famiglia lo vorremmo dopo tutto quello che abbiamo fatto. Abbiamo fatto l’impossibile per arrivare alla verità. Avevamo messo anche una taglia di cento milioni. Non si poteva fare di più. Finora non si è scoperto niente. Proviamo. Io sono qua".

E se le testimonianze al processo non dessero un risultato, smetterebbe di sperare?

"Spererei che qualcuno si mettesse la mano sulla coscienza e facesse un gesto per noi".

Come ricorda Fabio?

"Era il mio gemello e si sa che i gemelli fra loro hanno un rapporto particolare. Vivevamo assieme. Dormivamo nella stessa stanza. Con lui è mancata una parte di me. Non è semplice spiegarlo, ma è così. Non doveva succedere. Fabio era buono, non era capace di vedere un pericolo. Pensava che fossero tutti buoni come lui. Cercavo di metterlo in guardia. Niente".

Nel 2013 è mancato Carlo, suo padre.

"Non era riuscito a risalire a come era morto Fabio. Si è portato dietro il dolore. Vorrei capire, sapere anche per mio padre. È passato tanto tempo ma ci sono casi che si sono risolti dopo anni".

Carlo Rapalli era stato in prima linea nelle ricerche della verità sulla fine di quel figlio timido, schivo, solitario. Subito dopo il ritrovamento del corpo di Fabio, aveva battuto la zona con alcuni dei suoi dipendenti senza notare nulla. Il 2 novembre i carabinieri aveva scoperto la moto con il serbatoio asciutto e il casco, a poche centinaia di metri da dove era stato rinvenuto il cadavere, la testa staccata dal tronco, accanto a un albero da cui penzolava un cappio con un nodo scorsoio, una candela e un coltello da cucina conficcati nel terreno, due accendini usa e getta, il porta patente vuoto con la scritta di un’autoscuola di Stradella. La moto e il casco non erano intaccati dalla ruggine: sarebbe stato normale se fossero rimasti per tanti mesi esposti alle intemperie. Neppure gli accendini avevano segni di ruggine. La candela era perfettamente bianca. Come se tutto fosse stato al coperto per essere predisposto tempo dopo, quando il posto era tornato a essere solitario, per un tardivo rito di morte. O forse per un rituale satanico.