Un morto, due dispersi e centinaia di sfollati

Michele Faglia, sindaco di allora, ricorda gli interventi successivi e ammonisce: "Bisogna andare avanti, rinaturalizzare il fiume e fermare la cementificazione"

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di Martino Agostoni

Una vittima portata via dal Lambro, la paura per due vigili del fuoco travolti dalla corrente del fiume e salvati solo dopo ore passate aggrappati alle piante sull’argine per non annegare, centinaia di monzesi sfollati, il centro storico e decine di strade allagate dalla Madonna delle Grazie alla Cascinazza e danni a beni pubblici e privati per decine di milioni di euro.

L’ultima grande alluvione di Monza è iniziata nel pomeriggio del 24 novembre 2002 dopo giorni di maltempo su tutta la regione che ha ingrossato i laghi e i fiumi a nord della Brianza fino allo stato d’allerta comunicato in città la sera prima, quando ormai la piena del Lambro era al limite e l’acqua già toccava i ponti più bassi delle vie del centro. L’esondazione vera e propria nelle strade è iniziata verso le 16 ed "è stato un evento che ha colto di sorpresa la città e la mia amministrazione appena eletta – ricorda Michele Faglia, l’ex sindaco di Monza che quel 24 novembre 2002 era in carica da pochi mesi –. È stata un’esperienza drammatica, perché una situazione così grave non si verificava da decenni ed è emersa la fragilità della nostra città che era impreparata ad affrontare l’emergenza". Tutto è accaduto nella notte tra il 23 e 24 novembre, quando ricevuto l’allarme in Comune è stato costituito un comitato di crisi per coordinare i soccorsi: "Allora non c’era un gruppo comunale di Protezione civile preparato per queste emergenze – spiega Faglia –. C’era solo un’associazione di volontari però troppo piccola rispetto alle necessità e fu indispensabile l’azione dei vigili del fuoco. In certe circostanze furono degli eroi, arrivarono aiuti da molte città della Lombardia, furono necessari i mezzi anfibi per soccorrere persone in difficoltà o isolate nelle case. Per una settimana i membri del comitato di crisi non hanno quasi dormito, lo stress era massimo e le richieste di aiuto continue". L’episodio più drammatico portò la morte del monzese Walter Ros, 41 anni, che cadde nel fiume dall’argine di via Visconti. "Furono subito organizzate le ricerche, ma più passava il tempo più diminuivano le speranze di trovarlo vivo e purtroppo la salma fu trovata solo alcuni giorni dopo". Anche due pompieri rischiarono la vita, furono travolti dalla corrente mentre eseguivano un controllo nella via Boccaccio allagata: uno fu trovato aggrappato a una pianta al ponte di via Zanzi e l’altro a qualche centinaio di metri. La situazione è precitata dopo qualche ora, quando verso le 18 è crollato un muro di contenimento del fiume nei pressi del ponte di via Cantore allagando il quartiere fino a San Gerardo e poi, poche ore dopo, è crollato un muro in via Moriggi causando l’allagamento della parte più bassa del centro storico. "Sono stati i momenti più drammatici con la tragedia di sapere che quel disastro aveva causato una vittima – racconta l’ex sindaco – Nei sopralluoghi nei giorni successivi ho incontrato tanti cittadini disperati, molte parti della città avevano subito danni gravi. Oggi possiamo dire che eravamo impreparati, nei decenni precedenti non era stato fatto un piano di prevenzione ed è stata una dura lezione. Ma da quel dramma la città e i monzesi hanno reagito, anche certe polemiche sono cessate e ci si è rimboccati le maniche".

Monza si è dotata di un gruppo comunale di Protezione civile con un centinaio di volontari e di un piano d’emergenza, lungo il corso del Lambro sono stati fatti interventi di prevenzione delle piene e "abbiamo fatto un piano dei rischi idrogeologici inserito nel Pgt con le regole per non cementificare più il fiume. Si sono fatte azioni di ingegneria naturalistica per risanare il Lambro, si è fatta la pulizia dell’alveo e la situazione è più controllata. Ma bisogna continuare in questa direzione – conclude Faglia – rinaturalizzare il fiume e fermare la cementificazione. Nel 2002, da neosindaco un po’ spaventato dalla grande responsabilità, quell’emergenza è stata una lezione di vita che mi è servita a capire come un incarico pubblico non sia una vetrina ma un grande impegno per prendere decisioni e provare a cambiare le cose a favore della comunità".