Un altro suicidio in cella Rivolta dietro le sbarre

Un ragazzo tunisino di 24 anni si è impiccato, lo sconforto di Benemia (Uilpa) "Sistema fallimentare, terzo caso dall’inizio dell’anno e continue aggressioni"

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di Dario Crippa

Si è impiccato nella sua cella con l’asciugamano, alle 20.30 di mercoledì, alla casa circondariale di via Sanquirico, dove ieri è esplosa la protesta dei detenuti. Un ragazzo di 24 anni di origine tunisina, dietro le sbarre dal 2018, avrebbe finito di scontare la pena fra due anni: il suo è il terzo suicidio dall’inizio dell’anno nella struttura monzese, alle prese da tempo con problemi di sovraffollamento (600 i detenuti, la metà stranieri, 200 in più della capienza indicata dal Ministero) e mancanza di personale che garantisca un’assistenza.

Ieri pomeriggio un’intera sezione dell’Istituto, precisamente la sesta sezione, ha fatto scoppiare una rivolta: i detenuti si sono rifiutati di rientrare e solo dopo tre ore di minacce e un passaggio con la direttrice la situazione tornava alla normalità, mentre nel frattempo scoppiavano disordini anche alla settima e all’ottava sezione. Domenico Benemia, della segreteria regionale della Uilpa polizia penitenziaria, non ha dubbi: "Lo denunciamo da tempo, è il fallimento del sistema carcerario".

Dall’inizio dell’anno, oltre ai due suicidi tra i detenuti (e uno a febbraio aveva dato fuoco al proprio materasso), non si contano le aggressioni verbali, quando non fisiche, contro gli agenti.

"Noi agenti siamo preoccupati dal disinteresse verso quello che accade ogni giorno all’interno del carcere. C’è un allarme sociale che non vogliamo venga scaricato esclusivamente sulle spalle della polizia penitenziaria. Quanto accaduto di recente a quella ragazza suicidatasi a 27 anni al carcere di Montorio con le parole di sconforto pronunciate dal giudice di sorveglianza (“Se in carcere muore una ragazza di 27 anni così significa che tutto il sistema ha fallito. E io ho fallito, sicuramente”) è una situazione con cui ci troviamo regolarmente a venire a patti". Per questo "continuiamo a dire che bisogna smetterla con le chiacchiere e dare segno di presenza dello Stato con provvedimenti concreti ed emergenziali che si pongano l’obiettivo di rifondare il modello d’esecuzione penale, e riorganizzare, potenziandolo, il corpo di polizia penitenziaria". E probabilmente, "più personale permetterebbe maggiori controlli".

Senza dimenticare "la follia di delegare al carcere la gestione di persone affette da patologie psichiatriche, cosa che oltretutto comporta l’assenza di cure adeguate per loro e delle condizioni minime di sicurezza per gli operatori penitenziari. Davanti a queste persone siamo ‘disarmati’, senza protocolli operativi d’intervento viviamo in balìa del primo detenuto che decide di dare in escandescenza". Sul fronte della polizia penitenziaria, in via Sanquirico sono in servizio 320 agenti. "Con qualche sacrificio possiamo anche dire di non essere sotto organico, ma con una sezione in più da gestire (l’ex detentivo femminile) sarebbe necessario l’arrivo di almeno altri 30 agenti".