
La cappella di Teodolinda
Monza, 28 aprile 2015 - "Osserva tu che passi, come i volti appaiano vivi e quasi respirino, e come i gesti corrispondano in tutto alle parole".
Un'iscrizione, quella lasciata come firma nel 1444 dagli Zavattari sulle pareti della cappella di Teodolinda, che oggi si può tornare a prendere sul serio. Dopo sei anni di fatiche, i restauri del colossale ciclo pittorico ospitato nel Duomo di Monza, ultimo capolavoro del gotico internazionale, sono terminati. Entro fine mese i ponteggi saranno rimossi e i monzesi, che da febbraio fanno la fila (sono novemila i visitatori saliti finora) per poter ammirare il risultato di una campagna di restauri fortemente voluta dalla Fondazione creata dal mecenate Franco Gaiani, costata oltre 3 milioni di euro e capace di mettere insieme sponsor del calibro del World Monuments Fund, la Regione e la Fondazione Cariplo, potranno rivedere finalmente senza veli la cappella che custodisce la Corona ferrea e le spoglie della regina che convertì al cattolicesimo i Longobardi.
Sarà per tutti una grande emozione: a valorizzare il risultato dell’opera degli undici restauratori che con Anna Lucchini si sono alternati in Duomo, lavorando fianco a fianco con gli esperti del Cnr, dell’Enea e dell’Opificio delle pietre dure di Firenze, oltre che degli storici dell’arte e delle diverse Soprintendenze interessate, ci sarà presto un sistema di illuminazione unico, che debutterà in anteprima mondiale.
Sarà così possibile ammirare l’incarnato della bellissima regina la cui fama convinse il suo primo marito a presentarsi in incognito alla sua corte, ma anche scorgere i panneggi, ritrovare l’oro dei decori, l’argento e lo stagno, scoprire elmi nascosti sotto una coltre di grigio e un’infinità di animaletti, lepri, conigli, cancellati da colori ormai mescolati l’uno all’altro diventando una sola macchia informe.
Tutti dettagli cancellati dall’incuria del tempo, dall’umidità di risalita, dal fumo delle candele e da alcuni restauri non proprio azzeccati, nel passato, ma sui quali Titti Gaiani, anima della fondazione, stende un velo di moderna pietà. "Allora non disponevano delle tecnologie di cui noi abbiamo potuto avvalerci e che fra qualche decennio saranno superate da altre - dice -. E proprio per questo, per assicurare a quest’opera il massimo della tutela e della conservazione anche in futuro, abbiamo deciso di fare il massimo. Qui tutto è stato fotografato e catalogato. Qui ci sono 50 milioni di pixel: ogni dettaglio è stato indagato, fotografato, catalogato e può essere recuperato in qualsiasi momento".
Il ciclo è complesso, gli interventi eseguiti con tempere a uovo e a olio, con colori preziosi come le lacche e i metalli. Tra i maldestri restauri precedenti, anche una truffa, con un sedicente restauratore, Valentini Napoletano, che in passato grattò via tutto l’oro impiegato a profusione dagli Zavattari. Il risultato dei restauri, preceduti da 11 mesi di indagini scientifiche, sulle 45 scene dipinte a più mani fra il 1441 e il 1446 dalla famiglia Zavattari lascia tutti a bocca aperta: le oltre 800 figurche compaiono sui 500 metri quadrati del ciclo tornano davvero a vivere.
Nonostante gli uomini siano abituati a guardare dal basso verso l’alto, e la prospettiva vi si adegui, la storia qui comincia proprio dall’alto, sotto la vele dorate dipinte in precedenza. La regina compare fin dalla seconda scena: sembra che ti guardi negli occhi. Oltre ai panneggi, all’oro recuperato e a tanti particolari tornati alla luce dopo sei anni di lavoro chirurgico con ultrasuoni, laser, nanoparticelle, sorgenti luminose on demand e restauro tradizionale, stupisce quello che salta fuori dalle macchie di verde informi. Il laser ha polverizzato lo sporco e saltano fuori i dettagli: alberi, foglioline, due conigli, una lepre.
Le storie, che nell’insistita attenzione all’etichetta di corte e ai due matrimoni regali di Teodolinda presentano un tono profano inusuale per un edificio sacro (dietro la regina longobarda non è difficile intravedere Bianca Maria Visconti), partono dalla ricerca di una sposa per Autari, re dei Longobardi, per concludersi con la colomba che appare in sogno alla regina indicandole dove costruire il tempio, sulle cui ceneri rinascerà il Duomo monzese.
Il lavoro continuerà sul versante archeologico, sulle orme di Teodolinda, e che sta parallelamente continuando con il restauro dell’altare della cappella, dove è all’opera Cinzia Parnigoni, monzese, già restauratrice del David di Michelangelo.