
"Sono stato condannato da innocente per la strage di piazza Loggia, un reato criminale e vigliacco, ma io no sono né criminale né vigliacco. La mattina del 28 maggio ‘74 non ero in piazza a Brescia, né sono stato alla riunione preparatoria del 25 maggio ad Abano Terme". Videocollegato dal carcere di Fossombrone, pacato e a tratti commosso, Maurizio Tramonte ha reso 50 minuti di dichiarazioni spontanee alla Corte d’appello per convincere i giudici a riaprire il caso. "È stato costruito su di me un personaggio che non esiste, o che esiste solo nelle loro teste", ha dichiarato riferendosi agli inquirenti. Ha puntato il dito contro gli ex compagni di cella Vincenzo Arrigo e e Domenico Ghirardini che in aula testimoniarono contro di lui. Il primo riferì di aver ricevuto da Tramonte la confessione della sua presenza guardando una foto scattata subito dopo la bomba. Il secondo raccontò che Tramonte gli rivelò di essersi recato alla riunione preparatoria di Abano con una Ducati Scrambler, effettivamente da lui posseduta. "Arrigo era un calunniatore seriale, sempre ubriaco, si inventava fatti e situazioni, fomentava risse. Mi chiese se era vero che fossi in piazza quella mattina e gli dissi di no, che ero tranquillo perché ricordavo bene che quel giorno ero in fabbrica, e con me c’era il mio capo, che però purtroppo quando anni dopo fu cercato dagli investigatori era deceduto. Rimasi tre anni in isolamento". Girardini, invece, lo conobbe nel 2009-10 a Cremona. "Lì i giornali arrivavano. Un giorno mi mostrò una foto del Sole 24 Ore con una Ducati gialla. “Te la ricordi?“ mi chiese. Gli risposi di sì. L’avevo acquistata nel 74 quando lavoravo a Padova per rispamiare tempo di viaggio, ma azzurra. Ma non gli ho mai detto che fossi andato alla riunione di Abano in moto. Era giugno, e avevo la barba".