
Il Giorno dell'epoca diede ampio risalto alla vicenda
Lesmo (Monza e Brianza), 24 giugno 2018 - La villa sorge in cima a una collinetta della frazione California, a Lesmo. A proteggerla c’è una recinzione alta tre metri. Alberi fitti la nascondono alla vista dei curiosi. Se però si riesce ad accedere al giardino ben curato della proprietà, ci si trova davanti a un edificio elegante alto due piani e dipinto di rosa. Vicino ci sono una piscina e le stalle dove trovano rifugio diversi animali da cortile. È bella e discreta la villa che Alberto Sada si è fatto costruire per la propria famiglia, moglie e quattro figlie. Hanno sempre avuto il sacro rispetto del lavoro e delle cose fatte bene i Sada, da quando papà Gino Alfonso ha messo in piedi un’azienda di carne in scatola che ha fatto storia. E anche se Gino Alfonso è ormai morto da piu di quindici anni, la Simmenthal, di cui Alberto è il presidente, continua nel solco della tradizione. E che i Sada siano industriali facoltosi è noto a tutti. Anche ai malintenzionati. Accade cosi che il 30 aprile del 1981 una banda di otto criminali decida di dare l’assalto a villa Sada.
I banditi (all’inizio si parla di 8 persone, ma si riveleranno molte meno) entrano in azione alle 23. Tagliano la rete aprendosi un varco nella recinzione e attendono il rientro a casa della figlia maggiore dei Sada, una ragazza di 18 anni. Quando la giovane scende dalla sua Fiat Ritmo, i banditi mascherati balzano fuori dal buio spianando le pistole. Poi la costringono ad andare verso l’ingresso e fanno uscire il padre. "State calmi, vogliamo solo fare un furto, non vi faremo del male" assicurano determinati. Li fanno entrare nella villa, dove trovano il resto della famiglia: la moglie di Alberto Sada, una donna di 40 anni, e altre tre figlie, di 15, 12 e 6 anni.
Per la famiglia Sada cominciano le sette ore probabilmente più lunghe della loro vita. Chiuse in una stanza e legate col nastro adesivo le donne, il padre obbligato sotto la minaccia delle armi ad accompagnare i banditi in un tour della casa. I delinquenti setacciano meticolosamente i due piani della dimora, che viene letteralmente sventrata. I rapinatori si impossessano di qualsiasi cosa possa avere valore: quadri importanti, gioielli, oro, oggetti preziosi, pellicce, tappeti, armi. Un bottino complessivo di oltre mezzo miliardo di lire. Comprese le tre macchine della famiglia Sada.
Nel corso della lunga nottata, i banditi si concedono addirittura il lusso, quasi lo sfregio, di prepararsi da mangiare. Un robusto spuntino, riveleranno le cronache, a base di pane, salame, formaggio, frutta e vino. Ed è proprio l’ingordigia dei delinquenti a tradirli. Pasteggiando lasciano infatti le proprie impronte digitali in cucina. In più, una volta fuggiti, quello che verrà poi ritenuto l’ideatore del clamoroso furto decide di tenere per sé alcune delle posate rubate quella notte: le troveranno a casa sua i carabinieri. Non avevano particolare valore ma per una leggerezza e forse avidità aveva deciso di tenerle per sé senza piazzarle sul mercato nero col resto della refurtiva accumulata in quella sciagurata notte. È l’inizio della fine per la banda. Non sono criminali consumati e uno dopo l’altro cadono (quasi) tutti nella rete. In meno di un mese dal colpo a villa Sada. Cinque persone. L’ideatore del furto, un cuoco di Sovico di 27 anni (quello delle posate!) verrà condannato a 10 anni di reclusione. La sua compagna, un’egiziana di 22 anni che di fatto aveva più che altro tenuto la refurtiva nascosta in casa, prende 3 anni, 2 anni dei quali condonati. Un cameriere di 30 anni di Macherio viene condannato a 9 anni. Un imbianchino di 29 anni di Limbiate arrestato come presunto complice della banda viene invece assolto per insufficienza di prove. Un unico soggetto, un brianzolo di 33 anni, che era riuscito a sfuggire alla cattura, viene condannato in contumacia a 9 anni di reclusione.