di Alessandro Crisafulli "Ragazzi, non fate cazzate. Non ascoltate i rapper che vi fanno credere che violenza, droga, delinquenza siano una figata. Non sono una figata, fidatevi...". Lui ci è passato. Ci ha sofferto. Ci ha combattuto. Ci ha lavorato. Ne è uscito. Più maturo. Più consapevole. Più forte. Luca è un nome di fantasia, anche se "tranquillo – dice - io non ho problemi, posso anche dire il mio nome: non ho niente di cui vergognarmi né da nascondere". Oggi ha 19 anni. E sta concludendo il suo percorso di vera e propria rinascita. Lavora, con turni massacranti anche di notte. E fa sport, nel tempo libero. Come giocatore. Ma anche, da qualche mese, come aiuto allenatore. Da giornate vuote, colmate con una sfilza di errori, a giornate piene, scandite da sudore e sorrisi. Un altro Luca, che ha capito dove e perchè ha sbagliato. E può osservare il dilagante fenomeno cosiddetto delle baby gang, di cui fino a qualche anno fa era parte attiva, con un altro sguardo. "Sì, ne ho combinate in passato – racconta questo ragazzone sensibile e sincero – in compagnia, ma anche da solo. Secondo me bisogna capire anzitutto in che contesto famigliare si è cresciuti: spesso i figli seguono la scia magari del padre o del fratello maggiore, oppure si trovano in un contesto difficile e allora cercano e trovano strade all’apparenza semplici come la droga, la delinquenza o fare i pirla in giro. Anche per me è stato così, però diciamo che i problemi me li sono costruiti da solo". L’ambiente domestico come tassello chiave di un puzzle molto complesso. Ma non solo. Perchè non sempre gli adolescenti che vanno fuori strada arrivano da famiglie "scapigliate": "Io sono sicuro che c’è un aspetto che influisce moltissimo – dice Luca –, cioè la musica che ...
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