Quando la solitudine esplode nella violenza

Matteo Lancini, professore alla Bicocca di psicoterapia dell’adolescente invita genitori e scuola ad ascoltare di più: abbassiamo i toni della competitività

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di Cristina Bertolini

"I genitori devono imparare ad educare al fallimento. Insegnare ad accettare che qualcosa vada storto. L’insuccesso può capitare. Anche di ricevere un rifiuto da una ragazza. Per ridurre la bramosia di essere vincenti ad ogni costo, anche la scuola deve abbassare il tono della competitività, rallentare la corsa ad essere sempre i migliori. Dare i 4 o voti anche più bassi per abituare all’insuccesso non è un atto educativo efficace, serve al contrario stimolare la consapevolezza del proprio potenziale per aiutare i ragazzi a svilupparlo". E poi "è inutile togliere ai ragazzi internet e il cellulare, bisogna insegnare loro ad usarlo".

Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, è presidente della Fondazione Minotauro di Milano e docente al Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca e alla facoltà di Scienze della formazione alla Cattolica. Insegna anche alla Scuola di formazione in Psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto del Minotauro e ricorda che "un tempo la crescita avveniva attraverso la ribellione e la personalità si strutturava attraverso la trasgressione. Oggi invece gli adulti sono diventati incapaci di parlare e quindi di ascoltare i ragazzi nella sofferenza che piuttosto viene rimossa. Perciò la crescita avviene attraverso la delusione e il senso di fallimento dei sogni infranti dell’infanzia", l’analisi del professore. Il crollo degli ideali porta in alcuni casi a "distruggere il proprio corpo, a voler sparire attraverso il disturbo alimentare o non uscendo più di casa e quindi non presentandosi più al mondo. Ed ecco affacciarsi i fenomeni dell’anoressia e degli ikikomori. Altri, al contrario, manifestano la delusione con l’aggressione verso i pari. In entrambi i casi la radice è la difficile elaborazione del fallimento. Il crollo degli ideali brucia e porta dolore, che nel vuoto di soluzioni da parte degli adulti viene elaborato con la rabbia".

I genitori e la scuola faticano a ritrovarsi in questi meccanismi, "si rifugiano in internet e poi stigmatizzano gli strumenti che loro stessi hanno creato. Si dice spesso – osserva Lancini – che i genitori non sanno ascoltare. In realtà non sanno ascoltare il dolore e il fallimento, che invece vengono sminuiti dicendo “cosa vuoi che sia, sono sciocchezze“, oppure rimossi, senza aiutare i ragazzi ad elaborarli e superarli". Anche a scuola, lo psicologo suggerisce di affrontare i temi del dolore, della morte e del suicidio. Il professore delinea i nuovi adolescenti nel suo saggio “L’età tradita: oltre i luoghi comuni sugli adolescenti“. Si domanda che senso ha il dolore, per quale motivo non si riesce a trasformarlo in parole. Che cosa rende impossibile un’espressione diversa, meno drammatica della sofferenza sperimentata dal giovane paziente. Partendo dal ribadire la necessaria distinzione tra infanzia e adolescenza, Lancini evidenzia come, "al cambiamento della visione dei bambini, sin da subito sostenuti nella loro intenzionalità, espressività, creatività e socializzazione, non è corrisposto un cambiamento nel modo di guardare gli adolescenti, sottoposti a rigide regole, divieti e paletti. In altre parole, è in corso un processo di adultizzazione del bambino, a cui fa seguito un’infantilizzazione dell’adolescente. È la più importante emergenza educativa e formativa italiana". Quindi "è importante responsabilizzare i ragazzi, più che accusarli di essere diventati irresponsabili: occorre puntare su modelli fondati sul senso della responsabilità più che sul controllo e la sottomissione ad una supposta autorità adulta".