Monza. la Procura ricorre sul processo Cristello: "Sì, sono mafiosi"

In Appello proverà a far riconoscere l’aggravante da cui gli imputati, condannati per altri reati, erano stati assolti in primo grado

In Tribunale a Monza è stato celebrato il primo grado del processo

In Tribunale a Monza è stato celebrato il primo grado del processo

Seregno (Monza  e Brianza), 6  novembre - Parte il processo di appello per gli imputati dell’ultima grossa operazione ritenuta anche l’ennesimo colpo contro la ’ndrangheta in Brianza, che invece si è concluso con l’assoluzione dall’accusa di associazione di stampo mafioso. Sulle indagini della Direzione distrettuale antimafia culminate nell’operazione denominata “Freccia”, eseguita nel giugno 2020 dai carabinieri di Monza e tornata a riaccendere il faro su alcune famiglie originarie di Vibo Valentia accusate di gestire le cosche radicate a Seregno dopo la scure dell’inchiesta “Infinito”, il gup del Tribunale di Milano ha inflitto 16 condanne fino a 14 anni di reclusione, ma non per associazione di stampo mafioso. Un’aggravante che ora la Procura vuole recuperare nel processo davanti alla Corte di Appello di Milano, che entrerà nel vivo a gennaio. La pubblica accusa aveva chiesto condanne fino a 20 anni di carcere, anche per associazione a delinquere di stampo mafioso per i cugini Umberto e Carmelo Cristello, Luca Vacca e Daniele Scolari. Assolti invece tutti da questa accusa, mentre sono rimaste in piedi, a vario titolo e in parte ridimensionate, quelle di traffico di droga, estorsione e usura per l’acquisizione indebita di esercizi pubblici e la gestione del servizio di sicurezza in discoteche e locali notturni. A 14 anni sono stati condannati i due Cristello e Igor Caldirola, a 12 anni Domenico Favasuli, a 10 anni Vacca, a 5 anni Scolari. E poi via via a scendere fino alla pena di 2 anni. "Ascolta, forse sai chi sono io, mi chiamo Cristello", bastava secondo l’accusa per fare intendere alle vittime con chi avevano a che fare. Se non bastava, intervenivano le intimidazioni e le violenze, precedute da tentativi di ‘mediazioni’ che spesso gli uomini di ‘ndrangheta utilizzano per prendere i contatti con le persone che vogliono prendere di mira. La cosca era accusata di non avere mai smesso, dai tempi della prima inchiesta ‘Infinito’, di esercitare il controllo del territorio, in particolare questa volta fra Seregno, Meda e Giussano. "Non basta chiamarsi Cristello per appartenere a un’associazione mafiosa", si difende Carmelo Cristello, già assolto in passato dall’accusa di associazione mafiosa al processo per l’operazione “Ulisse”. E il gup ha accolto la tesi della difesa. Invece la Procura vuole dimostrare che in Brianza la ‘ndrangheta esiste ancora. Ma nel frattempo è anche intervenuta una sentenza della Corte di Cassazione a sezione unite secondo cui "non basta la parola mafia" per contestare la relativa aggravante ma bisogna verificare se sussiste "lo stabile inserimento nella struttura organizzativa" che deve dimostrarsi "idoneo" a dare luogo alla "messa a disposizione del sodalizio stesso per il perseguimento dei comuni fini criminosi". Intanto il tema delle infiltrazioni mafiose in Brianza resta caldo. Il 13 dicembre la coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano Alessandra Dolci parteciperà a un convegno alla Provincia di Monza sul tema del racket dell’usura, mentre il proc uratore antimafia Nicola Gratteri sarà ospite di alcune scuole del territorio per parlare di legalità.