"Non ci sono conferme alle accuse" E ora chiedono i danni allo Stato

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"Impossibile rinvenire appaganti conferme alle accuse mosse" ai presunti mandante e intermediario dell’omicidio di Paolo Vivacqua, che ora chiedono il riconoscimento dei danni per ingiusta detenzione. Così la Corte di Cassazione ha detto la parola fine a 6 anni di processi, dopo 10 anni e mezzo dal fatto, quando lo scorso luglio ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Milano, che aveva voluto far scattare il settimo giudizio sulla vicenda, il terzo davanti ai giudici supremi e ha fatto diventare definitiva la sentenza di assoluzione per Diego Barba e Salvino La Rocca. Il “Berlusconi di Ravanusa“, rotamat siciliano trapiantato in Brianza, fu ammazzato il 14 novembre 2011 con 7 colpi di pistola nel suo ufficio di Desio. La storia infinita di questa vicenda giudiziaria ha avuto inizio il 2 dicembre 2015 con la sentenza della Corte di Assise di Monza che ha condannato a 23 anni di reclusione Barba (imputato come mandante dell’assassinio insieme alla moglie della vittima Germania Biondo, già assolta ormai definitivamente) e La Rocca, ritenuto intermediario tra il mandante e gli esecutori materiali del delitto, Antonino Giarrana e Antonino Radaelli, condannati all’ergastolo dai giudici monzesi e già in carcere per il successivo omicidio della consuocera di Vivacqua, Franca Lojacono, accoltellata alla gola in auto nel box della sua abitazione per farsi dire dove Vivacqua teneva una grossa somma in contanti. Per due volte già la Cassazione aveva rimandato indietro gli atti processuali che avevano confermato le condanne di primo grado per approfondire la vicenda identificando un movente che stesse in piedi tra quello della moglie lasciata per una donna più giovane e rimasta senza soldi, finita per legarsi ad un nemico di Vivacqua per vecchi dissapori con il comune intento di eliminarlo e quello della ricerca del borsone con i 5 milioni di euro ricavati dalla vendita di alcuni terreni ritenuta frutto di corruzione di pubblici ufficiali. Finché la Corte di Assise di Appello ter ha deciso di assolvere Barba e La Rocca e di togliere l’aggravante della premeditazione per Giarrana e Radaelli facendo scendere la pena a 24 anni. Intanto Diego Barba e Salvino La Rocca erano già stati scarcerati e ora vogliono chiedere allo Stato una riparazione per ingiusta detenzione.

S.T.