
Paolo Nespoli in missione
Monza, 8 novembre 2020 - L’ultima volta che era sceso da una navicella spaziale, era diventato più alto di 7 centimetri. "Ma sono tornato normale, alla mia altezza abituale", scherza. Perché quando si trascorre tanto tempo nello spazio (e lui in tre diverse missioni ci è stato per 313 giorni), il corpo cambia, le ossa si allungano. E la mente si apre. E anche se Paolo Nespoli da Verano Brianza, appesa a un chiodo la tuta spaziali, è ormai tornato un comune uomo di 63 anni, la sua mente è rimasta aperta, abituata a volare in alto e a osservare da un’altra prospettiva. Ha provato a spiegarlo e a raccontarsi nella sua ultima fatica letteraria (“Farsi spazio - Storie e riflessioni di un astronauta con i piedi per terra“, Roi Edizioni), appena data alle stampe, e lo dimostra in ogni suo pensiero. Aveva intitolato il suo primo libro “Dall’alto i problemi sembrano più piccoli” (Mondadori), ma ora questa pandemia sembrerebbe smentirlo. È così? "Per nulla, la pandemia anzi ci ha insegnato che il nostro approccio è sbagliato. Continuiamo a gestire i problemi come se vivessimo in una piccola parte del Mondo. Anche in Italia discutiamo di zone rosse, gialle o arancioni. A mancarci è la prospettiva generale, se il problema è mondiale forse andrebbe gestito da una visuale più ampia… Perché stiamo sempre a guardare i confini, e poi basta un piccolo microrganismo come questo virus a mettere tutto a soqquadro". Perché questo libro? "Nasce tutto dal lockdown. Mi trovavo in Italia lo scorso febbraio quando sono cominciati i contagi e sono volato subito a Houston, negli Usa, dove vivo con la mia famiglia. E mentre ero là, hanno chiuso le frontiere...e dire che mi stavo trasferendo". Torna in Italia? "I miei figli hanno già cominciato ad andare a scuola qui, la grande in prima media, il piccolo in prima elementare". Torniamo al primo lockdown. "Mi sono trovato in una situazione per me inusuale: non potevo viaggiare e avevo parecchio tempo. E ho cercato di non pensare a quello che mi mancava, ma all’opportunità che mi si presentava: mettere in pratica alcuni progetti, come questo libro". Cosa aveva da dire? "Nelle conferenze che faccio in questi anni in tanti mi chiedono cosa fare, una risposta, come se io avessi una ricetta pronta. E invece la vita non è come fare un risotto alla milanese, gli ingredienti sono parecchi, occorre una combinazione di bravura ma anche di casualità. E allora ho pensato di raccontare alcuni episodi che ritenevo significativi della mia vita". Una sorta di auto-analisi. "Attenzione però, sono un ingegnere, non un filosofo o uno psicologo. Fornisco solo esperienze che possono porre domande". Da dove partiamo "Dalla Brianza. Sono nato in un piccolo paese come Verano, 6mila abitanti, in una famiglia piccolo borghese. Mio padre lavorava in banca, mia madre badava alla famiglia (siamo 4 figli). Finché ero piccolo si viveva in 2 stanze, nella casa dei miei nonni, il bagno in cortile. E tutto ruotava attorno alla parrocchia. Nel bene e nel male.". Una vita troppo stretta? « E confortevole. I miei genitori mi hanno dato un’educazione, pur lasciandomi la libertà. Ma io ero inquieto... Mio padre mi rimproverava ricordandomi che ai suoi tempi si dava del Lei o addirittura del Voi ai genitori; mia madre ha fatto di tutto perché da grande facessi l’elettricista e andassi a lavorare davanti a casa. Di 9 ragazzi con cui sono cresciuto in paese sono l’unico un giorno a essermene andato; mio fratello, che era andato più lontano di tutti, si era fermato a un chilometro di distanza da casa". E a scuola? "Andavo male. Studiavo poco, solo quello che mi piaceva, il resto mi sembrava già di conoscerlo. Dal liceo scientifico, a Desio, uscii malissimo, mi diplomai con 38, poco più del minimo indispensabile". E poi? "Mi iscrissi a Ingegneria all’Università, ma combinavo poco. Erano anni complicati, fra manifestazioni e occupazioni io non avevo trovato la mia strada". Tanta politica, Lei dove stava? "O si era di destra o di sinistra, spesso estreme. E io stavo nel mezzo, forse per la mia educazione cattolica". Non durò a lungo. "Quando mi resi conto che non sarei andato da nessuna parte mi ritirai…". Un fallimento. E poi? "La salvezza fu la cartolina per andare a militare. Sembra strano, ma cambiai panorama, si viveva in un ambiente ristretto ma questo mi spronava". Restò sotto le armi. Paracadutista, incursore in Libia... L’incontrò con Oriana Fallaci. "Incontrai un commilitone che lavorava alla Nasa e a 28 anni volai a Houston. Da lì cominciò tutto: mi rimisi a studiare (laurea in ingegneria spaziale in 4 anni a New York, la Nasa e poi l’Esa, l’agenzia spaziale europea, ndr), i concorsi per diventare astronauta". Il suo sogno era quello? "Sin da bambino. Amavo i romanzi di Verne, erano anni in cui il mondo viveva la conquista dello spazio, a 10 e 11 anni sognavo assistendo ai primi tentativi di andare sulla Luna. Ricordo che dicevo che da grande sarei voluto diventare un astronauta e la mia fidanzatina dell’epoca mi regalò un libro... di Oriana Fallaci “Se il sole muore” (in cui intervistava alcuni astronauti, ndr )". Quanto contano i sogni? "Come dico sempre ai ragazzi nelle mie conferenze, “Sognate l’impossibile, poi svegliatevi e realizzatelo”...". E lei sogna ancora, magari di tornare nello spazio? "Se ne avessi l’opportunità ci andrei volentieri. Sono stato a lungo su una stazione, ma non ho mai fatto una passeggiata nello Spazio: mi metterei subito in gioco e ricomincerei da capo". Tempo fa disse che ci sarebbero voluti una ventina d’anni per i voli privati nello Spazio... "Ne basteranno molti meno, uno o due. Ma all’inizio i costi saranno enormi. Bisognerà attendere una decina d’anni perché si abbassino". Perché l’uomo vuole andare nello Spazio? "È il desiderio di conoscenza, di ricerca la molla che ha portato l’uomo a essere quello che è oggi. I soldi per lo spazio non sono sprecati, rinunciare sarebbe come pensare di fare a meno di cose come la musica o l’arte. Si potrebbe vivere, certo, ma decisamente peggio". C’è vita fra le stelle? "Non ne abbiamo prova concreta, ma non vuol dire che non ci sia. Da ingegnere, se sostenessi il contrario, direi un obbrobrio". Hanno appena trovato prova dell’esistenza di acqua sulla Luna. "La cosa davvero interessante è che le tracce di acqua sono state trovate nella parte esposta al sole. E questo ci dà qualche speranza che anche la Luna potrebbe ospitare la vita". Nel suo libro parla anche di errori... "Una volta sullo Space Shuttle premetti per distrazione un pulsante che avrebbe portato alla sua distruzione". E? "Per fortuna era solo un simulatore e grazie al mio errore si scoprì una falla fondamentale: premendo quel bottone non sarebbe dovuto esplodere tutto! Alla Nasa mi ringraziarono. Nelle organizzazioni serie è così, siamo esploratori e gli errori servono per migliorare. Non per scaricare le colpe su qualcun altro".