
Carabinieri al lavoro
Giussano, 3 agosto 2016 - Quel 14 luglio del 2008 nel circolino di San Vittore Olona, nel Legnanese, c’erano tutti e due. Erano stati incaricati di far fuori il padrone incontrastato della ‘ndrangheta in Lombardia, compare ‘Nuzzo, al secolo Carmelo Novella, potente boss che stava coltivando un progetto rivoluzionario e sin troppo pericoloso: affrancare le cosche lombarde dalla casa madre calabrese.
Per farlo fuori, dalla Calabria incaricano Antonio Belnome, classe 1972, ex calciatore professionista (fino alle serie C) e rampante nuovo padrino della Locale di Giussano; e Michael Panajia, classe 1974, vita piuttosto ritirata, un uso molto prudente del telefono, pressoché sconosciuto alle forze dell’ordine. E i due portano a termine la missione. Tempo dopo, si troveranno a rivestire un ruolo analogo. Arrestati entrambi fra 2010 e 2011, fanno il grande salto. E si pentono (raro nella ‘ndrangheta). Prima Belnome, e poi Panaja. Quattro omicidi (uno assieme) sul groppone, e diversi altri reati. Nel 2012 anche l’ex capo società di Giussano, e capo della Locale al posto di Belnome dopo il suo arresto, scrive a sorpresa una lettera ai magistrati: pure lui ha deciso ora di collaborare. "Mi portavano a sparare, poi mi chiesero di uccidere: è come colpire gli alberi". Inizia così il drammatico racconto di Panajia. Dalle loro lunghe e articolate deposizioni, scaturiscono operazioni e inchieste che permettono agli inquirenti di ricostruire crimini, delitti, estorsioni, spaccio di droga, traffico di armi. In Lombardia, in Brianza, ma persino in Calabria o sul litorale romano. Il loro destino sembra però essersi separato di nuovo. Almeno negli esiti dei rispettivi processi.
Vediamo come. Michael Panajia è a casa. Da quasi due anni e lì potrà scontare quanto gli rimane dei suoi 18 anni complessivi di pena. Le sue rivelazioni si sono rivelate di capitale importanza, arrivato a confessare la sua parrtecipazione a un delitto avvenuto addirittura nel 1993 di basilare peso nella storia della 'ndrangheta locale e di cui non era mai stato accusato. Persino la Procura Svizzera ha voluto sentirlo nell'ambito di delicate inchieste che sta conducendo. A fronte di ben due annullamenti della Suprema Corte di Cassazione, il Tribunale del Riesame di Milano ha infine accolto l’appello dell’avvocato Francesco Provenzano, suo difensore storico, concedendogli gli arresti domiciliari dal novembre del 2014. È statotutt’altro che facile. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, recentemente, in accoglimento di apposita istanza difensiva, ha inoltre concesso la misura alternativa della detenzione domiciliare. Al computo della pena, andranno detratti i 450 giorni concessi finora dal magistrato di sorveglianza di Roma e il presofferto finora scontato dal giorno dell’arresto.
Antonino Belnome non è stato così fortunato: detenuto in carcere dal 2010, ha preso finora oltre 20 anni di pena (ma alcuni processi sono tutt’ora in corso) e ad oggi fruisce, ogni 45 giorni, soltanto di permessi premio concessi dal magistrato di sorveglianza di Roma. Più volte, infatti, il Tribunale di sorveglianza gli ha rigettato la domanda di detenzione domiciliare.