Matteo, gli anni del Monza, la Nazionale Papà Pessina racconta l’ascesa del figlio

Dopo Massaro un altro monzese negli Azzurri. La parabola di un ragazzo d’altri tempi: scuola, niente tatuaggi e famiglia al primo posto

Migration

di Dario Crippa

L’ultima volta era accaduto 27 anni fa, quando il monzese Daniele Massaro, attaccante del Milan, era stato chiamato ai Mondiali di Calcio di Usa ’94.

Ora, dall’altro giorno, c’è un altro ragazzo di Monza che vestirà la maglia degli Azzurri in una competizione internazionale, i prossimi Europei.

Si chiama Matteo Pessina, ha 24 anni, centrocampista di ruolo e calciatore fuori dagli schemi per vocazione: non ha tatuaggi, non gioca alla playstation, ama cucinarsi il risotto ed è iscritto all’Università.

Il sindaco Dario Allevi, amico di famiglia (era a scuola col padre), è orgogliosissimo: "L’ho visto crescere. Un ragazzo d’oro". E la sua famiglia non sta più nella pelle. Papà Fabio, commercialista, ricorda ancora l’estate di 14 anni fa, quando all’improvviso Matteo fu aggregato alla prima squadra del Monza per il ritiro estivo.

"Saltammo le vacanze, o meglio mandai moglie e figlia al mare e io rimasi con lui: prima in ritiro e poi ad agosto nel caldo soffocante di Monza per gli allenamenti a Monzello. Ma ricordo con immenso piacere quei giorni e il rapporto fra noi due che si rafforzava".

Ora la Nazionale e gli Europei: fino al giorno prima Matteo sembrava esser stato “tagliato”.

"La vita di un calciatore è anche questo, ricordo il messaggio di Matteo che mi annunciava che Mancini non lo aveva convocato. I genitori servono a questo: non solo quando le cose vanno bene, ma nei momenti difficili, quando magari ti riscaldi per tutta la partita e non entri mai o alla domenica vai in Tribuna".

E lei cosa fece?

"Gli ho mandato un messaggiodi incoraggiamento (la poesia “Se” di Kipling, ndr).

Poi un altro giocatore si è infortunato (Sensi) e Matteo è stato convocato al suo posto.

"Ci sono alti e bassi, dicevo. I momenti di esaltazione vanno condivisi".

Cosa ricorda di Matteo da piccolo?

"Ha sempre voluto fare il calciatore, la sua passione. Lo ricordo a due anni col ciuccio che pensava solo alla palla. A 5 anni dovemmo portarlo alla Dominante. Iniziò così".

Dopo 5 anni lo prese il Monza.

"Il timore di noi genitori era che inseguisse una carriera che solo in pochissimi casi porta a qualcosa. I patti sono sempre stati chiari: il Vangelo è la scuola, il calcio deve restare un hobby. Se non prendi buoni voti, salti l’allenamento".

E?

"E i voti sono sempre stati buonissimi. Ha fatto il liceo scientifico Frisi, per due anni. Molto bene. Poi gli impegni sono diventati più gravosi, la tensione a scuola era alta e lo abbiamo trasferito al Collegio Villoresi San Giuseppe, dove ha trovato un ambiente più rilassato. E ottimi professori, ha imparato ad amare anche Manzoni e i Promessi Sposi".

Il diploma?

"Si era trovato in prestito a Lecce e Catania, seguire le lezioni era impossibile, e gli abbiamo sguinzagliato dietro insegnanti privati per non fargli perdere l’anno. Ha fatto la Maturità da privatista, ma ha voluto affrontarlo con la sua vecchia classe. Lui stesso ci teneva a studiare, sapeva che la carriera di un calciatore è brevissima. Tanto che dopo il diploma si è iscritto ad Economia aziendale alla Luiss di Roma, grazie a una borsa di studio per sportivi... altrimenti la retta sarebbe stata altissima".

Gli avete mai dovuto dire di no?

"Quando era piccolo Matteo era ’incazzosissimo’, poteva avere esplosioni di rabbia per un nonnulla, ma ha imparato a dominarsi, è maturato tantissimo. Anche in campo non è uno che si fa espellere facilmente".

Lei ha uno studio a Monza e uno a Shanghai: lo studio Pessina-Oggioni… viene in mente il fallimento del Monza.

"Vero, il mio socio storico Maurizio Oggioni fu uno dei curatori fallimentari (nel 2004, ndr). Poi è arrivato il presidente Giambattista Begnini: Matteo è stato prelevato per le giovanili del Monza proprio da lui".

Ed è andata bene.

"Sa cosa è stato di difficile? Tenere Matteo a Monza. Lo venivano a cercare tutti i grandi club, Inter, Milan, etc...: prendevano i suoi compagni, lui li vedeva andare via ed era tentato di seguirli, ma noi abbiamo sempre preteso che restasse a casa. facesse le cose con calma e non partisse giovanissimo".

Quando aveva 16 anni lo voleva l’Inter.

"L’allora direttore sportivo del Monza, Gianluca Andrissi, ci mostrò il fax dell’Inter. E gli fece un discorso molto chiaro: “l’Inter ti vuole a ogni costo, Matteo, ma se resti qui si convochiamo in prima squadra e ti allenerai con giocatori professionisti, imparerai il calcio vero”. Fu l’uomo del destino, mia moglie ed io eravamo metaforicamente in ginocchio sperando che Matteo facesse la scelta giusta".

E l’ha fatta.

"Sì, col Monza è cresciuto, ha preso le botte che si prendono nel calcio minore, ha fatto la vera gavetta fuori dai circuiti delle giovanili dei grandi club".

Poi anche quel Monza è fallito.

"Il 2015 fu un anno durissimo, negli spogliatoi volavano i coltelli, c’erano giocatori con famiglia che non prendevano lo stipendio da mesi, i tifosi portavano i panini… Matteo era stupito, ma anche quella è stata un’esperienza che lo ha fatto crescere".

E poi?

"Paradossalmente, è stata la fortuna di Matteo. I giocatori si sono svincolati e sono andati via, mio figlio si è ritrovato catapultato in prima squadra con Fulvio Pea. Da capitano della Berretti all’improvviso giocava in C... per salvarsi".

È andata benissimo: segnò anche nelle sfide decisive, col Pordenone tirò persino un calcio di rigore.

"E dopo il fallimento è arrivato Galliani. Lo voleva ancora una volta l’Inter, ma Galliani è stato convincente: suo padre era stato amministratore di condominio del mio, gli disse che non aveva scelta, doveva andare al Milan!".

E lo fece… Da qui la trafila, i prestiti a Como e La Spezia, l’Atalanta. Ora la Nazionale.

"Mia moglie ed io non ci siamo persi una sua partita".

E gli Europei?

"Vedremo: abbiamo i nostri rituali, mia moglie è napoletana, silenzio di tomba durante la partite. E abbiamo avuto una brutta esperienza: per la finale di Coppa Italia avevamo già i biglietti, ma mia moglie fu scippata, sotto casa a Monza, e ne uscì con le vertebre fratturate".

Sua moglie cosa fa?

"Roberta Russo è architetto, Matteo ha ereditato da lei la passione per il disegno tecnico e l’arredamento. Ora si è preso casa da solo… a Monza. Ha voluto restare nella sua città, con i suoi amici, tanto è vicino a Zingonia dove si allena con l’Atalanta. La nonna Maria Luisa RussoGiove insegnava Lettere al Frisi e lo ha sempre aiutato. Matteo tiene molto alla famiglia: vuole un bene dell’anima a sua sorella Carlotta, più grande di tre anni e laureata in Fisica, che ora vive in Germania".

Il ricordo più emozionante?

"Forse l’esordio al Brianteo nel gennaio 2015. Il nonno era mancato da un anno: Matteo aveva 17 anni, fece un gol e fu il migliore in campo".