Francesco Canova, amato da papi e imperatori Il “Divino”, genio del liuto, era monzese

Strapagato e apprezzato nelle corti di mezza Europa, trascrisse decine di composizioni e “fantasie” rimaste nella Storia

Francesco Canova

Francesco Canova

Monza, 13 febbraio 2022  Note dolcissime si sprigionano dal suo strumento, frutto di una sapienza che affonda le proprie radici nel IX secolo, nella Spagna dominata dagli Arabi. Un uomo curvo trascrive pazientemente le note, cancella, corregge. Sta facendo un’intavolatura, una delle prime mai fatte per trascrivere note e armonie di danza che stanno prendendo piede in tutta Europa, conquistando re e popolani, pontefici e soldati. Lo chiamavano il Divino, soprannome che condivise con Michelangelo Buonarroti, genio di pittura e scultura. Ma lui, un genio, lo fu in tutt’altro campo: nella musica. Oggi, a parte specialisti e appassionati, in pochi conoscono quello che nella sua epoca – a metà del XVI secolo – venne considerato il più grande compositore di musica per liuto del Rinascimento. Apprezzato, ricercato, strapagato. Ancora meno persone sanno, anche nella sua stessa città di origine, che era un monzese purosangue. Stiamo parlando di Francesco Canova, identificato sui libri come “da Milano” (e questo può effettivamente confondere), anche se la sua data di nascita e le sue origini lo portano nella città di Teodolinda. Zona via Lecco. Fu qui infatti che il musicista nacque il 18 agosto del 1497. Della sua biografia, sappiamo in realtà abbastanza poco, soprattutto dei suoi primi anni. Si sa soltanto che era figlio di una famiglia di musicisti: fu proprio seguendo il padre, Benedetto, che intraprese una strada che lo avrebbe condotto a diventare una delle figure principali della musica strumentale europea del XVI secolo. Figlio d’arte (anche il fratello Bernardino suonava lo stesso strumento), fu mandato dal padre a imparare suonare il liuto a Milano dal celebre maestro Giovanni Angelo Testagrossa, liutista di Beatrice ed Isabella d’Este. Quando era ancora un ragazzo, intorno al 1520, sempre seguendo il papà, si trasferì a Roma: la corte dei pontefici si trasformò nella sua casa, e lui diventò diventando di fatto il compositore e musicista preferito di tre Papi. Prima prestò i propri servigi al pontefice Leone X, e a seguire rimase anche con i suoi successori, Adriano VI e Clemente VII. Nel 1528 lasciò Roma per Milano, città nella quale fu organista e venne nominato canonico presso la basilica di San Nazaro Maggiore. È qui che acquisisce il nome “da Milano”. Ormai consacrato come uno dei migliori liutisti in circolazione, fra il 1531 e il 1535 si trasferì prima Roma, poi a Firenze, questa volta al servizio di un altro cardinale espressione di una delle famiglie più importanti dell’epoca: Ippolito de’ Medici. Nel 1535 passò alle dipendenze di un altro pontefice, Paolo III, che lo accolse tra i suoi musici personali assicurandogli la sua protezione. La fiducia che nutriva per lui il pontefice era assoluta. E il papa lo nominò maestro di musica del nipote Ottavio Farnese, futuro duca di Parma. La musica era molto importante all’epoca, e si intrecciava ai destini degli uomini di potere e di Chiesa. Canova dimostrò di sapersi fare apprezzare anche quando il Papa decise di portarlo con sé addirittura in occasione del Concilio di Nizza del 1538, in cui l’alto prelato era stato chiamato come mediatore nella contesa tra Francesco I re di Francia e l’imperatore Carlo V. La mediazione andò a buon fine e sfociò nella cosiddetta Tregua di Nizza. E Francesco Canova trovò modo di farsi conoscere e apprezzare anche in Francia. Non a caso il musicista monzese ricevette da Francesco I, colpito dal suo talento, una cospicua somma in denaro, come segno dell’ammirazione per le sue eccezionali doti di liutista (“...en don et faveur du plaisir qu’il a donné au Roy...”: “in omaggio e benevolenza per il piacere che ha donato al Re” testimonia un documento conservato a Parigi). Per qualche tempo dimorerà a Parigi, acquisendo il nome di “Francesco da Parigi”. Ma qui probabilmente pesa il vecchio vizio dei “cugini” francesi di appropriarsi di meriti altrui. Tornato in Ital ia, i documenti lo indicano come il musico al servizio del cardinale Alessandro Farnese e come maestro del celebre liutista fiorentino Perino degli Organi. I suoi insegnamenti si dimostrano di assoluto livello e, non fosse altro che per potersi fregiare del suo nome, il suo allievo viene ingaggiato tra i suoi musicisti di camera del Cardinale. La musica strumentale e il liuto si affermano in maniera indiscussa e la sua fama diventa eccezionale. Tanto che proprio in questo periodo il suo nome viene associato a quello di Michelangelo come “il Divino”. E pare che Francesco eccella non soltanto nel liuto, ma anche nella viola e nella poesia. La sua scuola liutistica si afferma in maniera incontrastata soprattutto nell’Italia Settentrionale. Gli intellettuali e letterati dell’epoca lo consacrano con le loro parole. L’Aretino, celebre poeta e drammaturgo, lo ricorda con parole altamente elogiative in una delle sue opere, “Il Marescalco”. Un altro drammaturgo, Francesco Berni, in “A messer Francesco da Milano” lo esorta a recarsi a Venezia dove l’avrebbe accolto con "maggiori onori di un doge nel giorno della Ascensione e con più cure ed attenzioni di un barone". Galeazzo Florimonte, vescovo di Aquino, nei “Ragionamenti sopra la filosofia morale d’Aristotele”, paragona la sua grandezza artistica a quella di Michelangelo. Attestati di lode arrivano da altri personaggi, fra cui piace ricordare Vincenzo Galilei, padre del celebre scienziato Galileo. La semplicità del suo stile, l’abilità nel saper trarre da uno strumento tanto imperfetto e “dal suono sfuggente” come il liuto gli effetti più straordinari e la sua fervida immaginazione musicale giustificano appieno la fama che quest’artista conquista nella storia della musica. Come scrisse nel 1536 Marcolini da Forlì: "...rubava i sensi di chi l’ascoltava". Francesco trascrive alcune delle composizioni polifoniche per liuto più famose e complicate del suo tempo. I musicologi gli rionoscono anche il merito di aver diffuso in Italia la conoscenza delle canzoni francesi. La musica per liuto, che in quel periodo consisteva in poco più di un’improvvisazione, raggiunse nelle composizioni di Francesco raffinate architetture. Anche se soltanto una piccola parte della sua produzione – che consiste perlopiù in “fantasie” e “ricercari” – venne pubblicata quando egli era ancora in vita, l’opera di Francesco da Milano che ci è pervenuta è superiore per numero a quella di qualsiasi altro compositore del suo periodo. Francesco muore in località ignota (probabilmente a Milano) e per ragioni imprecisate il 15 aprile 1543. Ha soltanto 46 anni. Le sue spoglie vengono sepolte a Milano, nella Chiesa di Santa Maria alla Scala, chiesa che fu demolita nella seconda metà del XVIII secolo per costruire il Teatro alla Scala. Oggi Francesco da Milano è uno degli autori più apprezzati ed eseguiti dai liutisti di tutto il mondo. La sua musica vive in 124 composizioni o intavolature, italiane e straniere. Fra i pochi a rammentarlo a Monza c’è Umberto Pessina, critico e docente di musica, diplomato in contrabbasso al Conservatorio. "Fu uno dei più grandi a livello mondiale, incredibile che la sua città non gli abbia dedicato neppure una strada".