La Vespa, la lavatrice Candy. Il miracolo economico. Una fiducia nel futuro che sembrava inarrestabile con i suoi simboli, fino alla vendita su uno scacchiere globale che richiede grandi dimensioni. O almeno così si disse sette anni fa per spiegare l’arrivo di Haier al timone. L’epopea industriale sotto i Fumagalli, la dinastia che ha trasformato il marchio brianzolo degli elettrodomestici in un’eccellenza italiana e poi mondiale che faceva gola. Fino al passaggio di mano. Nel 2018, i cinesi versano alla famiglia 476 milioni per comprarsi la fabbrica e un pezzo di leggenda. Un trauma per il capitalismo di casa e per quello nazionale. Anche l’ultimo baluardo del settore ancora in mano al Paese, cede. E Candy adesso si prepara a cambiare pelle un’altra volta. Addio lavatrici, dallo storico stabilimento di Brugherio, aperto nel 1961, non ne usciranno più. Al loro posto, gli asiatici promettono un importante progetto industriale, ma non ne hanno ancora spiegato il perimetro. "Questione di giorni" hanno detto ieri a Fiom e Fim che aspettano di conoscere i dettagli per organizzare la contromossa. I lavoratori tremano pensando al futuro e per esorcizzare la paura si aggrappano ai fasti delle origini.
All’intuizione di Enzo Fumagalli sulle potenzialità della lavabiancheria che ha visto per la prima volta in America, dopo la guerra e i campi di prigionia. Spedisce i primi schizzi a papà Eden, fondatore di una piccola officina sulle rive del Lambro che si chiama come lui. Nasce così nel 1945 la prima macchina, la mitica 50. L’azienda verrà ribattezzata nel 1946 con i brevetti per la lavastoviglie. La scelta è quella di un nome esotico mutuato da un motivetto in voga Oltreoceano. A guidare lo sviluppo ci saranno anche i fratelli di Enzo: Niso e Peppino e poi i suoi figli, Aldo e Beppe. Una lunga marcia sempre con la rotta impostata sulla crescita dagli anni ’60 fino agli anni ’80 con nuovi stabilimenti e acquisizioni di marchi. Ma anche un profondo impatto sulle famiglie che volevano lasciarsi alle spalle la distruzione e correre verso l’avvenire. Alla fine degli anni Novanta il Gruppo contava 2mila operai nei siti italiani, tutti in Lombardia, concentrati in una manciata di chilometri: la Zerowatt di Alzano Lombardo (Bergamo), la Gasfire di Erba (Lecco), la Donora di Cortenuova (Bergamo), la Bessel di Santa Maria Hoè (Lecco) oltre a Brugherio, dove al momento del passaggio ad Haier c’erano 500 tute blu e quasi altrettanti colletti bianchi. E mentre dismetteva in Italia, Candy non smetteva di aprire nell’Est Europeo e di fare shopping nel mondo: dalla russa Vyatka alla turca Süsler per finire con la cinese Jinling. Una crescita che ha segnato il passo dal 2008, fino all’addio dieci anni dopo.
Bar.Cal.