Barbara Calderola
Cronaca

La nuova routine del San Gerardo armati di pazienza e mascherina

Il nostro viaggio nell’ospedale più grande della Brianza tra nuove regole e prenotazioni online Prova della temperatura fin dall’ingresso, distanze, code, qualche scatto di nervi e i soliti furbetti

In fila con le mascherine, a distanza, in attesa di essere smistati dagli infermieri. E la sorpresa di un Cup affollato. I disguidi non mancano, ma neppure la buona volontà di una riorganizzazione tutt’altro che semplice. È la fase 3 del San Gerardo vista dai pazienti. Un viaggio insieme a uno di loro. Si capisce dal parcheggio che qualcosa è cambiato, alle 7.30 è vuoto, un colpo d’occhio impensabile senza la battuta d’arresto del Covid. Sulla soglia della palazzina Accoglienza, l’altra novità, i due check-point di ingresso dove sanitari in camice azzurro, guanti, naso e bocca coperti, misurano la temperatura invitando chi supera i 37 gradi e mezzo ad allontanarsi. Per chi può entrare, un dato da tenere a mente, per riferirlo all’altra barriera. Un secondo punto nel corridoio in cui una nuova addetta indirizza chi deve muoversi all’interno del Settore A. La scrivania è proprio a fianco della sala tamponi. Dove dobbiamo andare noi. Una specie di anticamera dell’inferno per chi è in attesa. La maggior parte dei pazienti deve sottoporsi a intervento chirurgico e la prassi prevede che ci sia la certezza di non essere contagiosi prima di entrare in sala operatoria. Sei sedie – due gruppi da tre – di fronte alla porta dove si viene sottoposti al test sono il solo punto di appoggio, aspettando il proprio turno. Qui, sugli schienali non ci sono foglietti che avvisano di stare a distanza come al Cup. Tutti hanno ricevuto una telefonata dal reparto da cui sono in cura con l’avviso di presentarsi per l’accertamento. Un uomo, però, non è in lista e scoppia la discussione. Per gli altri fila tutto liscio. All’uscita l’infermiera spiega le modalità del ritiro: "Se è positivo riceverà una telefonata entro le 8 di domani, se è negativo può stampare il referto alle macchinette". Ci si lascia l’ambulatorio alle spalle con angoscia. Ripercorriamo la strada a ritroso e nel frattempo il Cup si è riempito, nonostante le prenotazione obbligatoria. "Sono qui da due ore", racconta un uomo che sventola il biglietto con l’orario di arrivo: 7.41, quando sono già le 9.20. Il servizio online funziona, invece, alle 9.34 chiamano PZ015, il numerino che ci è stato assegnato tre giorni prima durante un collegamento via computer da casa, la novità si chiama Zerocode.

Allo sportello ci invitano a mostrare il codice: "Ci sono tanti furbetti", spiega l’impiegata. Noi chiediamo se funziona sempre tutto così perfettamente: "Se non capitano imprevisti".

Le file all’ingresso adesso arrivano ben oltre i cancelli, ma i numeri sono molto più bassi di quelli prima dell’epidemia. Ci sono da recuperare migliaia di visite e operazioni saltate.

"C’è troppa gente. Se non fossimo costretti, saremmo rimasti a casa", ripetono in tanti con gli occhi fissi sul tabellone. Dopo il lungo isolamento lo stanzone dove prima si aspettava anche mezza giornata il proprio turno per fissare un appuntamento sembra un formicaio.