REDAZIONE MONZA BRIANZA

La dottoressa Pagnoni e la lezione ai giovani

"Lavorate con passione e volete bene agli ammalati. Interessatevi dei pazienti . anche come persone"

"Svolgete il vostro lavoro con passione e cercate di voler bene ai vostri ammalati. Interessatevi a loro non solo come pazienti, ma anche come persone".

Così finisce la chiacchierata con la dottoressa Annamaria Pagnoni, classe 1919, figlia dell’industriale monzese Nicola Pagnoni, che pochi giorni fa ha spento la 101esima candelina. Un traguardo importante per la dottoressa monzese, che fino ai 65 anni ha svolto ininterrottamente il suo lavoro di cardiologa all’Istituto dei Tumori di Milano.

Eppure all’inizio per lei era stato scritto un altro destino. "Mi ero laureata in Lettere- racconta -. Avevo iniziato ad insegnare, ma mia mamma mi spinse a iscrivermi alla Facoltà di Medicina". Sorride quando racconta il perché di quell’insistenza. "Mia mamma doveva spesso sottoporsi a cure con iniezioni e si rivolgeva alle suore del convento vicino a casa. Avrebbe voluto che qualcuno in famiglia imparasse a farle". E Annamaria accolse la richiesta, anche se in fondo quell’attenzione verso i malati era già scritta nel suo Dna, con la zia materna Crocerossina impegnata sui campi della Prima Guerra. "Lei è stata il mio modello, con il suo esempio di dedizione agli ammalati".

Una vita intensa quella della dottoressa Pagnoni, i primi anni divisa tra ospedale e scuola. "All’epoca c’erano già diverse donne medico, ma non erano tantissime. Alla mattina andavo in ospedale e il pomeriggio a Vimercate a insegnare. Prendevo il tram: più di una volta dovevo scendere di fretta e furia e scappare nei prati sotto le bombe". Poi un periodo in Inghilterra per approfondire gli studi e il ritorno a Monzanel primo istituto oncologico italiano.

"Amavo fare il medico. Grazie al mio lavoro ho viaggiato e conosciuto tantissime persone. I congressi mi hanno portata in giro per il mondo: negli Stati Uniti, in India, in Argentina, in Giappone e nelle Filippine". Tanti anche i nomi prestigiosi dei colleghi con cui ha collaborato: in primis il professor Umberto Veronesi, ma anche il medico personale dell’Aga Khan.

Difficile, ma non impossibile, coniugare la vita professionale con quella familiare. "Mi sono sposata e ho avuto tre figli. La mattina andavo in Istituto dei Tumori, tornavo a casa per pranzo, poi il pomeriggio tornavo a Milano e rimanevo in ospedale fino alle 8 di sera". In quegli anni non era una rarità trovare donne medico. "Io ero l’unica nel mio gruppo di lavoro. Ma al momento della scelta dei ruoli apicali si finiva sempre a preferire un uomo". Eppure nell’Istituto di via Venezian in molti continuano a ricordare la dottoressa Pagnoni e anche nei giorni scorsi l’hanno chiamata per farle gli auguri. "Mi hanno voluto un gran bene, ma quasi mi hanno dovuto mandare via di forza per aver raggiunto gli anni del pensionamento".

Una vita in corsia, ma anche tanti ricordi della sua famiglia e della sua città raccolti nel libro “Le nostre radici“ che sta ultimando in queste settimane di lockdown. Un’eredità di vita e di valori che la dottoressa Pagnoni lascerà alle figlie e ai nipoti.

Barbara Apicella