di Dario Crippa
Era in Inghilterra per un dottorato di ricerca in ingegneria geotecnica quando le giunse notizia che aveva vinto il concorso per diventare funzionario direttivo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. "Il mio professore tentò di scoraggiarmi, ma non gli diedi retta... e feci la scelta più giusta della mia vita: avevo fatto quel concorso quasi per caso, trascinata da alcuni compagni di studio... e passai solo io. Questo è un mestiere impegnativo e di grandi sacrifici, ma anche entusiasmante: se piace, diventa irrinunciabile".
A prendere decisioni è abituata per mestiere Marcella Battaglia, una laurea in ingegneria civile edile, dallo scorso settembre comandante provinciale dei vigili del fuoco di Monza e Brianza. È la prima volta che a Monza c’è una donna al vertice di un Comando di 150 uomini (8 donne). Anche se Marcella Battaglia, 53 anni, originaria di Palermo, non dà peso più di tanto al fatto di essere una donna in in un mondo popolato soprattutto da uomini.
“A volte ho trovato qualche resistenza, ma è bastata un po’ di fermezza. Ed essere donna a volte può semplificare”.
In che senso?
"Nelle situazioni di soccorso le persone più fragili, come anziani e bambini, possono trovarsi più a loro agio, a volte, quando hanno a che fare con una donna...".
Non è un mestiere solo per uomini?
"No, perché la forza fisica è importante, ma non basta: sui luoghi di soccorso ci vogliono anche capacità tecnica, capacità decisionale e prontezza".
Tutte doti alle quali l’ingegnere Battaglia si è trovata costretta a ricorrere diverse volte nella sua carriera. Come a Genova. Il 14 giugno del 2018 (foto in alto).
"Quando è crollato il ponte Morandi ero l’unica dirigente in servizio alla Direzione regionale vigili del fuoco della Liguria, il capo era andato in pensione da poco e al suo posto c’era come reggente un dirigente in servizio a Bologna".
All’inizio, in pratica, c’era solo Lei.
"C’era allerta meteo arancione in Liguria in quei giorni e avevamo deciso di rinforzare le nostre squadre con 28 vigili in più. Quando crollò il ponte Morandi, in uno scenario che per noi era inimmaginabile, ci fecero comodo e feci convergere tutte le forze sul posto".
Come apprese la notizia?
"Mi arrivarono via WhattsApp alcune immagini. Erano un po’ buie, c’era nebbia e pioggia, ma capii immediatamente che era accaduto qualcosa di grosso". Mise in moto la macchina dei soccorsi.
"Servivano tutte le unità speciali su cui potevamo contare: l’Usar (Urban Search And Rescue), le squadre Nbcr (Nucleare biologico chimico radiologico), le Saf (Speleo alpino fluviale), i Cinofili per la ricerca sotto le macerie, gli elicotteri per dare immediatamente una visuale dall’alto della situazione".
Adrenalina alle stelle.
"In casi come questo bisogna capire immediatamente quali sono tutte le possibili esigenze per tarare le forze da mettere in campo... lavorando a stretto contatto con il Viminale".
Fu dura...
"Morirono 43 persone sotto le macerie, ma sarebbe potuta andare molto peggio. Dato il periodo, per fortuna su quel ponte non c’erano tutti i veicoli e le persone che sarebbero potute esserci in un giorno normale. Nelle aziende sotto al ponte c’era ad esempio un numero di personale in servizio limitato e per fortuna il ponte non crollò sui condomini...".
Emozioni forti.
"La più grande fu probabilmente il giorno dei funerali, 43 persone avevano perso la vita, ma ricordo che i vigili del fuoco e i soccorritori in generale vennero sommersi dagli applausi. Come ebbe modo di scrivere un giornale, in quei giorni ci fu la dimostrazione di un’efficienza asburgica con cuore italiano: non lo dimenticherò mai".
La gente ve ne fu grata.
"I genovesi hanno fama di essere particolarmente parsimoniosi... beh, in quel periodo, se si entrava in un bar a prendere un caffè, non riuscivamo a pagare il conto".
Il vostro Inno recita: “Il pompiere paura non ne ha!”. È così?
"Ce lo diciamo soprattutto per farci coraggio. La paura c’è, ed è importante per non sottovalutare mai una situazione di potenziale pericolo. Una giusta dose di timore serve sempre per fare una valutazione corretta".
Acqua, fuoco, terremoti... cosa intimorisce di più il pompiere?
"Impossibile rispondere, non è l’elemento che fa paura, ma il contesto in cui ci si trova".
C’era Lei anche quando crollò il ponte di Annone Brianza, nel 2016.
"Non mi faccio mancare nulla (sorride)".
E a L’Aquila?
"Un occasione del terremoto del 2009 mi occupai soprattutto della verifica della stabilità degli edifici e delle chiese colpite".
Ha salvato anche un uomo morto... da più di duemila anni: Torino, 1997, incendio del Duomo e della Cappella della Sindone (nella foto in basso).
"Andai subito sul posto, non avevamo tempo da perdere ma facemmo le giuste valutazioni".
La Sindone rischiava di bruciare.
"Rompemmo il vetro (ma l’idea non fu mia!) e tirammo fuori la teca che conserva il sudario in cui si crede sia stato avvolto Gesù. Fu emozionante, ricevetti un’onorificenza pontificia... anche se, paradossalmente, non vidi mai la Sindone: quando la mettemmo in salvo, era chiusa nella teca; e quando sono tornata a visitare la Cappella dopo vent’anni, la Sindone non era esposta".
Figlia di un imprenditore edile, una sorella di architetta. Un marito, due figli adulti: a casa sono preoccupati per il suo lavoro?
"Ormai sono abituati".