DARIO CRIPPA
Cronaca

I debiti di Mussolini Fatiche e riscatto del monzese Guido Riva socialista e viaggiatore

Partito da Sant’Albino ospitò il futuro Duce quando era in esilio. Tornato a casa dopo la guerra, si mise a commerciare tessuti. I suoi discendenti canadesi sono stati in città per rivederne la casa.

di Dario Crippa

Benito Mussolini non pagava il conto. Socialista e squattrinato, il futuro da Duce ancora tutto da scrivere ma, mentre si trovava in Svizzera renitente alla leva, aveva l’antipatica tendenza a non saldare i conti per vitto e alloggio. Almeno, così raccontano i discendenti di un ragazzo partito da Monza ormai più di un secolo fa per fare fortuna. O almeno sbarcare il lunario.

È una storia di immigrazione, di speranze e fatiche ma anche di riscatto, dignità e coraggio quella che emerge dal quartiere Sant’Albino, estrema periferia della città. Perché è proprio qui che alcuni discendenti di una famiglia del luogo sono tornati qualche giorno fa dal Canada per andare a rivedere e toccare con mano da dove tutto era partito. Fine Ottocento. Sant’Albino è solo un mucchietto di case attorno a una chiesa, i contadini vivono in quelle che erno conosciute come Cascina Bastoni. Fra di loro, ci sono i Riva.

Le loro origini risalgono a metà del Settecento, contadini e poveri in canna. Ad abbondare, solo figli e miseria. Il primo a provare a scrollarsi di dosso un destino che pare immutabile si shiama Davide Riva. È intelligente, impara a leggere e, invece che il contadino, diventa il postino di Sant’Albino. Non gli basta. Racimola qualche spiccio anche come sarto e, un bel giorno, apre un minuscolo negozio di chincaglieria. Ha sei figli, Davide, e pretende che studino tutti, per quanto possibile. Terza elementare, già un lusso per l’epoca, prima di andare a faticare come tutti nei campi. Vede lungo, Davide Riva. Perché la storia della sua famiglia prende una svolta proprio da uno di quei sei figli a cui era stato consentito di imparare a leggere e a scrivere.

Si chiamava Guido e, sul finire dell’Ottocento, decide di fare fagotto e partire.Impara a fare il muratore e va all’estero. Intanto, matura idee di giustizia sociale ed eguaglianza, è stanco di chinare la testa. Come aveva fatto suo padre, vuole allevare figli che possano vivere in un mondo più giusto. Ai primi del ‘900 lo troviamo in Svizzera, impegnato nel nascente movimento socialista. A Zurigo gestisce un locale che esiste ancora oggi, il Cooperativo, dove ci si può fermare anche a mangiare e passare la notte ma soprattutto punto d’incontro per socialisti e anarchici di tutta Europa. Ed è qui che a volte va a rifugiarsi anche il giovane socialista Mussolini, quando decide di non rispondere alla chiamata alle Armi e di vivere in esilio. Ovviamente prima della svolta che lo avrebbe portato a dar vita al Fascismo. Secondo i racconti della famiglia Riva, pare che il futuro Duce fosse appunto poco incline al pagamento di vitto e alloggio. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Guido Riva torna in Italia. Ha sposato una donna tedesca, ha avuto tre figlie e si è anche separato, ma vuole arruolarsi e contribuire a difendere il proprio Paese. Dopo la vittoria, con un’Italia a pezzi, torna a Zurigo. In Svizzera.

Non sono anni sereni quelli, la città elvetica si trova a pullulare di soldati e ufficiali tedeschi. Tira una brutta aria, per un socialista della prima ora come Guido Riva, che fiutando l’aria ostile, e probabilmente avendo sentore delle politiche persecutorie in arrivo, ritiene più sicuro tornare in Italia con una delle figlie. Guido Riva si mette a commerciare tessuti coi fratelli: morirà non molto tempo dopo, negli anni Quaranta, la Seconda guerra mondiale ormai alle porte. Mussolini, forse memore degli antichi debiti, lo aveva fatto chiamare perché lo seguisse, ma Guido Riva, socialista vero, aveva preferito non tradire i prepri ideali. Povero sì, fascista no. A Sant’Albino rimane la figlia Anna. Ma il sangue caldo e l’indole da viaggiatori dei Riva non si sono spenti. Sarà proprio uno dei figli di Anna a decidere di partire un giorno anche lui. Per le Americhe. Anzi, per le ampie distese verdi e i grandi laghi del Canada. E qui farà fortuna. Sacrifici, spirito combattivo e tenacia pagano. I suoi discendenti, che di matrimonio in matrimonio portano il cognome Peyer, oggi gestiscono un’importante azienda che si occupa di grandi impianti di stoccaggio e, memori delle loro radici, affiancano all’attività professionale una grande sensibilità per le questioni sociali. La giovane Lynsi Peyer, ultima dei nipoti, fa l’avvocato e si occupa di tutela dei diritti umani a Londra. In questi giorni, come si diceva, il richiamo della terra di origine si è fatto sentire e i Riva sono tornati a Monza. E a Sant’Albino hanno incontrato i parenti monzesi. Con loro hanno visitato il bellissimo canile di Monza gestito dall’Enpa.

Non è un caso. Perché il presidente monzese dell’Enpa si chiama Giorgio Riva. "Sono i miei cugini - racconta con gioia - hanno sempre mantenuto i contatti con i parenti, sia in Svizzera sia a Monza". A capitanare la piccola comitiva, una donna di 92 anni, Mabel, vedova di Kurt Peyer, con lei il figlio Danny e la giovanissima nipote Lynsi, l’avvocata a Londra. Alla prima serata d’incontro coi parenti c’era anche suor Maria Gloria Riva: nata a cresciuta a Sant’Albino, in giovanissima età ha preso i voti come monaca di clausura al convento delle suore Sacramentine di Monza, anche se oggi è l’anima nella comunità religiosa di Pietrarubbia, vicino a San Marino.

Dopo aver già visitato i tesori storico-artistici della città, i tre viaggiatori hanno pranzato nella nuova sede monzese di PizzAut, recentemente inaugurata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in persona.