MARCO GALVANI
Cronaca

Gp di Monza, Jodi Scheckter torna a guidare la sua Ferrari mondiale

Scheckter, sabato e domenica in autodromo, girerà sulla Ferrari con cui vinse il mondiale 40 anni fa

Jodi Scheckter sul podio di Monza nel 1979

Qui a Monza vinse il Mondiale quando aveva 29 anni. Da “matricola” nella scuderia del Cavallino. Cosa provò?

«Capii la differenza tra correre per la Ferrari e per qualsiasi altro team. Con gli altri, sei il pilota di una squadra, con la Ferrari sei il pilota di un’intera nazione».

Eppure da quel Mondiale conquistato a Monza, qualcosa cambiò. Corse un altro anno, poi appese il casco al chiodo...

«Avevo raggiunto il mio obiettivo. In un certo senso era finito l’incantesimo verso un mondo in cui si moriva troppo. In quegli anni il miglior successo che potevi ottenere era soprattutto uscirne vivo. E io sono stato molto fortunato perché ho rischiato la vita tante volte».

È mai risalito sulla sua Ferrari mondiale?

«Due, tre volte in occasione della Car Fest che organizzo nel New Hampshire, ma appena mi hanno detto di questa rievocazione, l’ho spedita a Maranello per farla controllare».

Le è mai venuta la voglia di rimettersi in macchina a correre?

«L’essere pilota mi è rimasto dentro... di certo non tornerei sui libri perché a scuola non andavo bene».

In compenso, ha lasciato il mondo della F1 per diventare imprenditore.

«Ho investito tutto nell’industria alimentare. Un business che ruota attorno alla fattoria a picco sul mare in cui vivo. Produco mozzarelle, salumi, vino, birra».

Tornando al mondo delle corse, da imprenditore sponsorizzerebbe un team?

«Macché, non sarei in grado di sponsorizzare nemmeno le pezze per pulire le macchine. Forse nemmeno me stesso. Prima ero ricco ma stupido, oggi sono intelligente ma povero».

Negli anni Settanta-Ottanta lei, però, rivoluzionò il mondo delle sponsorizzazioni in F1 con il chewing gum Brooklyn.

«Beh, sì. Mi andava bene. E poi mi riempivano di caramelle. Perfino i figli di Jackie Stewart erano venuti a trovarmi e io gli regalai le caramelle».

Quelli erano gli anni di Woodstock, dell’esplosione della musica rock e delle canzoni di Jimi Hendrix nelle pubblicità Brooklyn. Allora i piloti erano visti come delle rockstar...

«Ma io non mi sono mai sentito una rockstar. Ho sempre pensato, partendo dall’officina di papà, di essere un discreto meccanico e, forse, anche un bravo pilota».